giovedì 2 febbraio 2017

Luoghi da sogno & Ambienti romanzeschi, Il Duca di Ferro

Luoghi da sogno & Ambienti romanzeschi
Il Duca di Ferro

Ciao a tutti e bentornati su Codex Ludus! E dopo una settimana di attesa ecco che ritorna la nostra rubrica Luoghi da sogno & Ambienti romanzeschi, sempre in collaborazione con Dark Zone! In questa giornata con l'autore intervisteremo Monica Serra, che ci parlerà del suo libro "Il Duca di Ferro".
Ma prima di cominciare ecco qui sotto il link Amazon per acquistare il suo libro, nel caso vi interessi. Ah e non dimenticatevi gli estratti del romanzo dopo l'intervista!
1. Dove è ambientato il tuo romanzo? Perché lo hai scelto?
Il Duca di ferro ha una classica ambientazione vittoriana. Una Londra fatta di luci e ombre, una nave volante rivestita di radica e ottone, la brughiera inglese erano il set perfetto per la cupa storia di Henry.

2. Da cosa è ispirata l’ambientazione?
Il mio riferimento è stata la letteratura dell’Ottocento, ricca di storie che da sempre stuzzicano la fantasia, in bilico fra i sogni di una scienza proiettata verso il futuro e gli incubi della Rivoluzione Industriale.

3. Hai mai pensato di scriverlo in un altro tempo o luogo arrivando a cambiare genere al tuo romanzo? (es. ambientazione fantastica, fantascientifica, immaginaria, in un mondo distopico, in quello attuale, ecc)
Il duca di Sharp non avrebbe potuto vivere in altra epoca e lo stesso vale per la fiera Mathilda. Ho fatto variazioni di ambientazione e genere in altre occasioni, ma in questo caso la storia non avrebbe avuto la stessa forza. A maggior conferma del legame col contesto storico-letterario scelto, nella versione italiana ho riportato citazioni di Mary Shelley che rendono ancor più forte la connessione della mia storia all’ambiente in cui si svolge.

E ora una doppia domanda:
4. Riesci ad immaginare la tua storia nel passato?
5. Riesci ad immaginare la tua storia nel futuro?
Direi che prendo due piccioni con una fava, rispondendo contemporaneamente a queste due domande: Il duca di ferro è un romanzo retro-futurista, quindi unisce suggestioni legate al passato e scintille di futuro.

6. Tre posti in cui vorresti ambientare i tuoi prossimi libri?
Ho in mente numerose location in cui mi piacerebbe inserire delle storie; mi vengono in mente una realtà alternativa intrisa di magia, una terra esotica dal passato glorioso, un pianeta lontano.
La verità è che spesso sono le storie a scegliere me, quindi devo “adattarmi” e raccontare l’ambientazione che in quel momento ha deciso di imporsi.

Prima di partire con la lettura, ecco la copertina, vi piace?
Ora è tempo di leggere!

1
Era sveglio, ma anche il solo tentativo di aprire gli occhi richiedeva uno sforzo sovrumano. La luce filtrava fioca attraverso la stretta fessura delle palpebre socchiuse; come fosse una chiave, accese i motori dei suoi sensi. Le immagini vaghe e sfocate che lo circondavano mostrarono poco a poco le proprie forme e i colori, gli odori si fecero strada con prepotenza fino a ridestare la consapevolezza di non essere morto.
La fiamma tremolante delle lampade a olio provocava riflessi d’ottone. Le sagome divennero più nitide, rivelando macchinari e bizzarri ingranaggi; un sordo ticchettio risuonava in sottofondo; pareva il battito di un cuore di ferro. L’aria calda sapeva di grasso, di metallo, di sangue.
Steso su un tavolo piatto e duro, Henry non poteva parlare, né riusciva a muoversi.
Udì delle voci. Due uomini. Parlavano di lui.
«Non mi aspettavo di trovarlo ancora vivo».
«Vivo... Per modo di dire».
Una lacrima rotolò lungo la tempia di Sharp. Rallentò, poi scivolò piano lungo il collo. Il duca riprovò a muoversi, ma nulla, si sentiva pesante come un piombo.
“Che diavolo mi è successo?”.
Raggelò all’orribile certezza di non sentire più la parte superiore destra del corpo. Era come se la spalla, il braccio e la mano non esistessero più. Nient’altro che carne morta. Respirava e sentiva il cuore pulsare con forza. Ma il resto di sé continuava a non reagire.
All’improvviso un’ombra coprì la luce che, seppure tenue, gli feriva gli occhi. Una figura scura che puzzava di grasso e cuoio si piegò su di lui e, con delicatezza inattesa, gli asciugò la lacrima.
«Bentornato, milord», sussurrò l’uomo. Indossava un camice bianco, da medico, che scure chiazze di sangue facevano sembrare più il grembiule di un macellaio. Lo scrutava, attento, attraverso le spesse lenti di un paio di goggles. «Siamo arrivati appena in tempo. Per un attimo ho temuto che ci avreste lasciati per sempre».
Lo sconosciuto si spostò e la luce delle lampade tornò a bruciare il volto di Henry, ficcandosi come una lama affilata nel suo cervello.
L’altra voce si levò da un punto imprecisato della stanza: «Ben fatto, dottor Boyle. In un paio di giorni avremo tra noi un nuovo duca di Sharp».
Altri rumori si levavano dagli ingranaggi che scintillavano in quella stanza, simili a vuote armature che obbedivano a ordini invisibili. Ticchettii. Rumore di pistoni. Sbuffi di vapore.
“Boyle. Rufus Leddy Boyle, lo scienziato pazzo”.
I morsi della paura si aggiunsero a quelli del dolore, tormentando la mente e il corpo di Henry. In che mani era finito? Tentò ancora di muoversi, ma invano. L’ombra di colui che aveva appena parlato gli coprì il viso. Aveva un tono autorevole, forse da lui Henry avrebbe avuto delle risposte.

2
Quella notte Mathilda faticò a prendere sonno. Giaceva con gli occhi spalancati nel buio e le parole di sua madre che riecheggiavano nella testa. In sottofondo, aveva l’impressione di sentire il tintinnio di una cascata di monete d’oro.
«Sei gelosa di tua sorella?».
Lo era?
Aveva incontrato il duca di Sharp soltanto una volta, eppure non riusciva a togliersi dalla testa il suo volto, le sopracciglia brune, le labbra sottili e gli occhi penetranti, che sembravano attraversare il suo corpo e la facevano sciogliere come burro.
Dandosi della sciocca, Mathilda si alzò, indossò una vestaglia pesante e si accucciò nel vano della finestra, scrutando attraverso la notte.
No, si disse. Non era gelosa. Era solo preoccupata per Lorraine. La sua incauta sorellina non era in grado di affrontare il duca, lui l’avrebbe spezzata come una bambola di porcellana. Era un uomo licenzioso e arrogante e sul suo conto giravano voci inquietanti.
Invisibili dita di ghiaccio le graffiarono la schiena; Mathilda si strinse nella vestaglia. Un barlume dietro le finestre attirò la sua attenzione, e il gelido fantasma di lord Demison che si era impossessato dei suoi pensieri si dissolse. Curiosa di scoprire cosa potesse far risplendere in quel modo la notte, aprì le imposte e si sporse fuori.
Una nave enorme, la chiglia avvolta in un alone fosforescente dai riflessi argentei, tagliò le nuvole e avanzò a velocità sostenuta sopra la città.
La ragazza, stupita, si strofinò gli occhi. Conosceva le aeronavi, ne aveva viste in passato, ma mai così da vicino. Era una bambina, suo padre era ancora vivo e qualche volta la portava a Primrose Hill a vederle volare; i suoi ricordi d’infanzia erano pieni di vele sospinte dal respiro azzurro del cielo. Aveva sempre sognato di salire su una di quelle navi, ma da molto tempo a Londra non se ne vedevano più. Cercò di osservare meglio. Purtroppo lo spettacolo non durò a lungo, le nubi si richiusero quasi subito e il veliero fu inghiottito dalla notte.
Turbata, Mathilda serrò le persiane e se ne tornò a letto. Chiuse gli occhi, augurandosi che lo spettro del duca fosse a bordo di quella nave, diretto il più lontano possibile da lì.
Poi fu il silenzio, finalmente.

3
C’era uno strano silenzio su quella nave bizzarra, se così si poteva chiamarlo. In realtà, si udivano in sottofondo il cupo rombo dell’elica e il ritmico pulsare di pistoni. Di tanto in tanto, uno sbuffo di vapore. Ma nessuna voce umana.
Raggiunsero la parte antistante della Silver Streamer, là dove si trovavano gli alloggi del capitano. Il duca aprì la porta e si fece da parte per lasciarla entrare.
Lei oltrepassò la soglia senza mostrare timore. Henry la seguì e richiuse l’uscio.
La lampada proiettò ombre guizzanti sul pavimento e sulle pareti, demoni dalla pelle chiara fatti della carne delle tenebre. Anche qui, pesanti decorazioni di legno, ottone e altre leghe metalliche, a malapena visibili nella semioscurità, circondavano la sala.
Henry spostò una leva e ci fu un cigolio. Le pareti davanti a loro si spostarono scorrendo, e una strana luminescenza si fece largo nella sala.
Mathilda rimase a bocca aperta. Uno spazio senza confini entrò nella camera dall’enorme vetrata curva, li abbracciò e permeò i loro sensi, mentre la nave attraversava il cielo notturno illuminandolo con i suoi fari.
Le stelle parevano, in quelle tenebre, più numerose e lucenti di quanto fossero mai state.
Lord Demison posò la lanterna su una mensola, poi avanzò di qualche passo per ammirare la bellezza del vuoto sotto di loro, le nere profondità dell’oceano in cui si spegnevano le stelle.
«Vi piace la mia nave, miss Finnegan?».

Allora che ne dite? Sarà la vostra prossima lettura? Fatecelo sapere con un commento. E ricordate di supportare sempre gli autori emergenti!

*ENRICO & DANA*

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