Luoghi da sogno & Ambienti romanzeschi
Valiance
Bentornati su Codex Ludus, bentornati nella rubrica in collaborazione con Dark Zone, oggi in Luoghi da sogno & Ambienti romanzeschi avremo il piacere di parlare con Marika Vangone, autrice di Valiance!
Come di consueto, avremo delle domande, siccome abbiamo avuto fortuna, Marika ci ha lasciato gentilmente degli estratti del suo romanzo.
Nel caso vi piacesse... ecco il link Amazon per l'acquisto, che l'intervista abbia inizio!
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- È ambientato in terre europee andate distrutte. Ho scelto questi territori perché nei romanzi di questo tipo di solito vengono snobbati in favore dell'America o dell'Asia e anche perché è più facile descrivere qualcosa che si conosce bene.
2. Da cosa è ispirata l’ambientazione?
- Da sogni, calcoli e un pizzico di follia. Ho fatto fare una mappa personalizzata dell'europa per avere mentalmente una visione dei luoghi disponibili per la vicenda.
3. Hai mai pensato di scriverlo in un altro tempo o luogo arrivando a cambiare genere al tuo romanzo?
- Essendo un distopico non so quanto andrebbe bene cambiare ambientazione; probabilmente avrei potuto cambiare il tempo giocando con degli avvenimenti passati e utilizzando il "Se fosse accaduto questo?"
4. Riesci ad immaginare la tua storia nel passato?
- È difficile. La storia si regge in piedi grazie anche alla tecnologia, all'evoluzione e alla distruzione. Se dovessi scegliere un tempo passato però, direi sicuramente "La seconda guerra mondiale".
5. Riesci ad immaginare la tua storia nel futuro?
- Assolutamente sì. Il futuro è l'ambiente naturale della mia storia.
6. Tre posti in cui vorresti ambientare i tuoi prossimi libri?
- La costiera Amalfitana; Londra; Isola sperduta.
Una piccola pausa prima degli estratti, potete vedere la copertina del romanzo qui sopra... bene, siete pronti? Non mi resta che augurarvi buna lettura!
“L’avete mai vista l’alba? Quella moltitudine di colori che corrono e sfumano nell’azzurro del cielo, confondendosi tra le nuvole rosee.
Forse sì, l’avrete vista. Ma di sicuro non come la percepivo io, una bambina affacciata alla finestra di una casa fatta di paglia, mattoni e altro materiale di scarto che mio padre era riuscito a raccogliere quando l’aveva costruita; forse quella casa è ancora lì, nascosta nella foresta, circondata da altre costruzioni uguali ormai vuote.
Non resta molto di ciò che ero fino a qualche settimana fa, a parte il mio ciondolo a forma di colibrì, un animale ormai estinto, ma così veloce ed elegante che lo invidio; vorrei battere anch’io le ali come faceva lui e fuggire da questa prigione color latte.”
“Avevo immaginato il castello del re come una fortezza di pietra, con torri, guardie a vedetta e un ponte levatoio. Sembrava invece più un luogo di culto, che di politica, con l’intonaco color panna e lo stemma di Dera che sventolava sulla bandiera: un motivo a stella argenteo riempito di piume su uno sfondo blu metallico. L’edificio era maestoso, ma non imponente; elegante, ma non eccessivo. Anche se non capivo niente di architettura, lo adoravo.”
“Le ruote stridettero sull’asfalto, rompendo il silenzio che ci aveva avvolti. Intorno a me non c’erano più le villette, i negozi e le macchine di poco prima, ma erba secca e capannoni industriali alti, messi lì senza uno schema preciso; un po’ come i giocattoli dei bambini sul pavimento che sembrano non dire niente e invece dicono tutto.
«Eccoci qui», annunciò Mason aiutandomi a scendere.
Dopo essersi guardato intorno per un po’ mi condusse attraverso la steppa, fino all’edificio più alto; i primi quattro piani erano vuoti e senza copertura esterna, riuscivo solo a vedere le travi e i pilastri di supporto fatti di cemento e metallo a vista. Per quanto ne sapevo poteva crollare tutto da un momento all’altro.
«Paura delle altezze?»
Mason mi fissava, cercando di capire cosa avessi nella testa.
«Paura della morte», risposi.
Lui sorrise, poi prese il suo Lifen e schiacciò alcuni numeri; avrei scommesso qualunque cosa sul fatto che fosse dipendente da quell’aggeggio. Un rumore metallico proveniente dall’alto mi fece arretrare. Ecco, l’avevo detto io che sarebbe crollato tutto. Una strana cabina atterrò sul terreno alcuni secondi dopo, proprio di fronte a noi. Il mio accompagnatore ci si infilò dentro e io entrai con lui che subito dopo blocco la porta con un misero gancetto di ferro.
Non c’erano maniglie per tenersi o pareti a cui poggiarsi, solo una struttura a griglia grezza che lasciava molte possibilità di finire di sotto; visto che l’unica cosa stabile mi sembrava il pavimento mi sedetti poco prima che iniziassimo a salire a una velocità così insulsa che quasi non me ne accorsi; quasi, perché a ogni folata di vento la struttura traballava.”
Allora cosa dite? Prendiamo il libro di Marika? Spero di si! Così supporteremo un'autrice emergente!
Intanto vi saluto, devo andare. Ciao e alla prossima!
*ENRICO*

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