LUOGHI DA SOGNO & AMBIENTI ROMANZESCHI
"I figli della cenere" e "Il vortice nero"
Ciao a tutti,ben ritrovati su Codex Ludus per la seconda puntata mensile dedicata agli ambienti e ai paesaggi in collaborazione con Dark Zone.
Anche questa volta sono due gli ospiti del blog che abbiamo intervistato per voi.
Subito dopo potrete gustarvi gli estratti che ci hanno gentilmente inviato, quindi non scappate via subito.
1. Dove è ambientato il tuo romanzo?
Perché lo hai scelto?
Daniele Viaroli: Il Vortice Nero è ambientato a
cavallo tra più dimensioni e, anche se ad avere un ruolo preminente sono tre, è
difficile parlare dell’una senza citare le altre. Vorrei, però, per questa
volta, concentrarmi su Creepy Creek, una sorta di polveroso far west in cui tre
specie dominanti si contendono il dominio delle poche risorse disponibili.
Immaginate gli indiani sfrecciare nei cieli a bordo di moto volanti, i cowboy
attraversare il deserto su slitte dalla scia infuocata e schiavi meccanici,
ansiosi d’ottenere la libertà, ribellarsi contro i loro proprietari e ci sarete
quasi. Ho scelto questo tipo d’ambientazione per fare da cornice al personaggio
di Odin. Questi, forte e determinato, aveva bisogno di una sfida all’altezza
delle sue capacità, ma anche di un mondo in cui Benny potesse sfoggiare tutta
la sua ironia. Uno spaghetti western mi è sembrata la soluzione appropriata.
Francesca Bertuca: I
figli della cenere è ambientato in un’Europa del futuro devastata dalla terza
guerra mondiale, la quale non solo ha annientato ogni forma di elettricità, ma
ha anche ridimensionato i confini degli Stati. Se l’Europa dell’est, detta
regno di Varsavia, è separata dai territori dell’ovest da un muro invalicabile,
a nord i paesi scandinavi si sono agglomerati sotto un’unica corazza di ferro
per fuggire al gelo. Essendo un romanzo sviluppato attraverso un punto di vista
multifocale, ci ritroveremo in diverse città europee nello stesso momento.
Avremo modo di conoscere la nuova Berlino, ora chiamata Brenna, dove piove
perennemente cenere. Ma potremo anche camminare per le strade di Parigi, patire
il freddo in Norvegia ed esplorare le foreste del nord Italia. Per non parlare
di San Pietroburgo, nel romanzo Leningrado, dove la storia avrà inizio.
Insomma, diciamo che non mi piace stare a lungo nello stesso posto, né muovermi
in un’ambientazione conosciuta, come potrebbe essere quella reale. Amo
immaginare un mondo alternativo, non per forza migliore.
2. Da cosa è ispirata l’ambientazione?
D.V.: Come anticipato nella risposta
precedente, una buona dose d’ispirazione è arrivata dagli spaghetti western di
Sergio Leone, dalla faccia corrucciata di Clint Eastwood e da quella meraviglia
animata che è Trigun. Il far west era un tipo d’ambientazione cui non mi ero
mai dedicato, così ho voluto sperimentare qualcosa di nuovo, rendendolo più
cupo, più tecnologico e, allo stesso tempo, più ironico.
F.B.: Più
che essermi ispirata a qualcosa, diciamo che ho cercato di costruire
un’ambientazione che fosse adatta alla situazione che i miei personaggi stavano
vivendo. Prendiamo Alec. Lui, sin dalla prima stesura del romanzo, ha sempre
cercato di andare al di là del mare, di scappare dal suo paese. Avendo chiaro
questo concetto, mi sono domandata perché sentisse quest’urgenza, perché
odiasse tanto il suo mondo. Ed ecco spiegata la cenere sul regno di Varsavia.
Da lì, si è sviluppato tutto il resto: la terza guerra mondiale, il
ridimensionamento degli Stati, la nuova fede, il fischio nero. Tutti elementi
che si sono generati di volta in volta, grazie a quaderni, libri, cartine
geografiche e la pazienza della mia migliore amica; le chiacchierate con lei mi
sono state indispensabili per ottenere la giusta ambientazione.
3. Hai mai pensato di scriverlo in un
altro tempo o luogo arrivando a cambiare genere al tuo romanzo? (es.
ambientazione fantastica, fantascientifica, immaginaria, in un mondo distopico,
in quello attuale, ecc)
D.V.:In questo caso ammetto d’aver elaborato
almeno una ventina di soluzioni diverse, però temo che cambiare tempo avrebbe
reso l’ambientazione più debole. Nel passato avrei perso la componente
tecnologica, mentre in un futuro sarebbe stato complesso salvaguardare
l’aspetto selvaggio. Però, ammetto che vedere i personaggi immersi in uno
spazio-tempo totalmente diverso sarebbe uno spasso. Già m’immagino Skald
cantare in una rock band, Odin farsi strada nel mondo delle MMA e Benny fare il
venditore ambulante di cianfrusaglie senza senso.
F.B.:Decisamente
sì. La prima stesura del romanzo era ambientata in un mondo immaginario ed era
di stampo fantasy.
4. Riesci ad immaginare la tua storia
nel passato?
D.V.:Essendo a cavallo tra più dimensioni,
ognuna con una coordinata storica differente, è piuttosto semplice e in parte
lo faccio già. I flashback di Odin, ad esempio, sono ambientati durante la
colonizzazione dell’Islanda e nella Danimarca di re Sweyn Barbaforcuta, quindi attorno
all’anno 1000. Altre dimensioni, come la Creepy Creek di cui abbiamo parlato in
precedenza, hanno una connotazione simile al nostro passato.
F.B.: Be’,
abbastanza. Considerate che, a causa della guerra, nel romanzo sono scomparse
molte cose di uso comune, tra cui l’energia elettrica e le armi da fuoco. Di
conseguenza, i personaggi hanno ripreso a usare le spade, a muoversi a cavallo
e adoperarsi senza l’ausilio dell’energia elettrica. Quello che vediamo, alla
fine, è un mondo che ricorda un po’ il Medioevo, benché con diversi elementi
contemporanei e/o futuristici.
5. Riesci ad immaginare la tua storia
nel futuro?
D.V.:Per quanto riguarda il futuro, l’ho donato
di una dimensione tutta sua, con la maggior parte delle caratteristiche di una
space opera. Ho chiamato quel luogo Tau Ceti ed è proprio da lì che giunge il
Collettivo, la nuova minaccia che incombe sul Multiverso.
F.B.:Il
futuro, dove peraltro è ambientata la storia, è la sua collocazione ideale.
6. Tre posti in cui vorresti ambientare
i tuoi prossimi libri?
D.V.:Proviamo ad andare con ordine.
-
In America Latina: mi piacerebbe scrivere uno di quei romanzi
d’avventura in cui si esplorano luoghi impossibili per decifrare il mistero di
una città perduta. Pensavo alla leggendaria terra d’origine degli Aztechi, Aztlan.
-
In un albergo isolato dallo spazio e dal tempo, in cui far
incrociare i destini di diversi sconosciuti, giunti da spazi e mondi
differenti.
-
In un mondo apocalittico, dove gli ultimi sopravvissuti lottano
strenuamente per sopravvivere agli attacchi costanti di creature di cui non
comprendono la reale natura.
F.B.: Quando scrivo,
difficilmente parto dall’ambientazione. In genere sviluppo prima i personaggi,
poi la storia e, in ultimo, trovo loro una locazione. Di conseguenza, non so
dirvi dove vorrei ambientare le storie, perché dovrei prima conoscere i miei
futuri personaggi. Se ne avessi l’occasione, cercherei di sviluppare qualcosa
nella Lunigiana, dove ci sono un sacco di luoghi abbandonati e paesini davvero
suggestivi. Mi piacerebbe scrivere dei sentieri liguri, a strapiombo sul mare,
ma anche concentrarmi sul caos invivibile di una grande città come New York.
Tuttavia, conoscendomi, so già che finirei per inserire qualcosa di
fantascientifico che modificherebbe un po’ tutte e tre le ambientazioni. Ahimè,
se non posso vagare con la fantasia finisco per annoiarmi!
Ehi ehi dove correte? Gli estratti che vi ho promesso sono qui sotto. Inoltre potrete gustarvi anche le magnifiche copertine che Dark Zone ci regala ogni volta.
Leggenda narra che in un angolo sperduto del
terzo pianeta del sistema Sol, in una nazione chiamata Italia, esista una zona
la cui operosità sfiora proporzioni mitiche. Quest’area, edificata all’ombra di
una statua dorata, si è espansa sempre più, inghiottendo tra i suoi tentacoli
di cemento la campagna circostante e dando così origine a uno dei peggiori nemici
della natura: l’Hinterland Milanese.
Profezie mai dimenticate raccontano che laggiù,
nascosto agli occhi dei più, sia stato installato un cassonetto dell’immondizia
unico per foggia e funzione. Esso è infatti ubicato in un luogo di grande
potere, in cui il destino intreccia i propri nodi con quelli del fato. Questa
particolare congiunzione astrale ha portato il Divin Cassonetto ad accogliere
al suo interno diverse reliquie d’immenso potere. Tra di esse ci piace
ricordare un sacchetto dell’umido, tre bucce di banana, un paio di lastre di
polistirolo, una lavatrice senza cestello, una famiglia di topi di passaggio,
l’inutile inserto del sole 24 ore, un pacchetto quasi pieno di brioches
biologiche al gusto improbabile di zucca lessa e un ragazzino di terza superiore
a metà tra lo stupito e il terrorizzato.
Il viandante se ne disinteressò e puntò il
saloon. Oltrepassò una stalla i cui piloni di sostegno erano stati rinforzati
con spesse placche metalliche. Una precauzione contro le tempeste di sabbia
comune a tutte le città di Creepy Creek. Quel mondo, coperto interamente da
deserti, era spazzato a intervalli regolari da uragani in grado di separare un
edificio dalle proprie fondamenta. L’unica soluzione consisteva nell’inchiodare
le case a delle lastre d’acciaio, simili a padelle, seppellite diversi metri
sottoterra. Una soluzione astuta, nonostante le tempeste non fossero la maggior
causa di morte laggiù. Il primato spettava all’avvelenamento.
Da piombo.
Si guardò attorno, non riconobbe il panorama
circostante e capì all’istante di non essere più a Crocevia. Il corto circuito
del tracciatore doveva averla traslata in un’altra dimensione. Attorno a lei
era un continuo alternarsi di lievi colline, coperte da un sottile strato
d’erba rossiccia. Una selva di foglie arancioni, scossa dal ritmo di un vento
frenetico, coronava i rari tronchi bianchi e scendeva come una cascata di
lacrime a sfiorare il terreno. Il cielo aveva colori pastello, sospesi tra il
giallo e il violaceo e sfumati dai riccioli grigio-bluastri delle nubi.
Kalena si perse ad ammirare il panorama per
alcuni minuti, finché un grugnito dietro di lei non ne attirò l’attenzione.
Rapita dal nuovo mondo, non aveva notato Incursore che, ancora privo di sensi,
sonnecchiava beato nell’erba rossastra. Il corto circuito doveva aver coinvolto
anche lui.
ESTRATTO 1
Marciò
in silenzio per quasi venti minuti. Via via che avanzava, la strada iniziò a
farsi sempre più sporca, il Muro più vicino. Ogni volta che lo intravedeva,
Alec avvertiva un prurito fastidioso. Non tanto per quello che rappresentava, quanto
per il fatto di non avere mai trovato il coraggio di provare a varcarlo. Una
volta aveva visto un uomo con un piccolo fagotto tra le braccia riuscire a
superare la prima transenna. Lui e gli altri brennesi ne erano rimasti
sbalorditi e avevano iniziato a incitarlo a correre veloce, affinché riuscisse a scappare. All’ultimo, però,
si era aperto qualcosa nel terreno e quello era precipitato nel vuoto con un
grido straziante. Poi, solo il silenzio. Da quel giorno, Alec si era ripetuto
che non avrebbe mai tentato di fare una cosa tanto stupida, eppure, ogni volta
che lo guardava, non poteva fare a meno di ripensare a suo fratello Caleb, al
fischio nero che solo l’anno prima l’aveva quasi ucciso. E se si fosse ammalato
di nuovo? Che colpa avevano di essere nati dalla parte sbagliata?
ESTRATTO 2
Inspirò
a pieni polmoni. L’aria puzzava di vecchio e malattie. Sulla sinistra, i
mezzadri coltivavano le sue terre, o almeno ci provavano. Erano ingrigite per
la cenere, piene di rami secchi che si rizzavano verso il cielo come artigli
infernali. Taras gli lanciò un’occhiata veloce. Vide due uomini e qualche
ragazzino che aravano la terra. Erano sporchi, tossivano, ma sorridevano. Un
uomo abbracciò quello che probabilmente era suo figlio. La sua testa era
straordinariamente grossa, segno che non sarebbe arrivato a compiere sedici
anni. Poi, sbracciò verso alcune donne, chine sull’orto a scavare nella cenere,
in cerca di tuberi. C’era una ragazza bagna di sudore, con la gonna che le
aderiva alle cosce. Si insinuava tra le sue natiche evidenziando un sedere
piccolo, sodo come una rara albicocca dell’estremo sud. Lui serrò la mascella,
tornando in fretta a fissare la strada.
ESTRATTO 3
Il
cielo oltre le nubi era rosso. Nell’aria c’era odore di cenere, neve e addii.
Cara era la fragranza delle conifere che crescevano sulle montagne macchiate
dalla neve. Ancor più dolce, la pinna nera che spuntava dall’acqua.
La
chiamavano Betsie e quello era il quarto autunno che trascorreva nel fiordo.
Evidentemente, per quell’orca Hanstad era diventata la sua nuova casa.
Misha
Galkin sospirò, guardando l’orizzonte dalla banchina. Le montagne si ergevano
verso il cielo come denti aguzzi di uno squalo. Lui non ne aveva mai visto uno,
per fortuna, ma quando immaginava una bestia simile, la figurava un po’ come
quel posto: silente e letale.
Anche per questa volta abbiamo terminato. Se volete rimanere sempre aggiornati sulle nuove uscite Dark Zone, sul mondo fantasy, nerd e quant'altro non dimenticatevi di iscrivervi al blog, alla pagina Facebook di Codex Ludus e a Instagram.
Ciao ciao,
*Dana*
Mi ero persa questa intervista! Super interessante. Il romanzo di Francesca Bertuca mi è piaciuto davvero tanto, avvincente e originale. L'ambientazione è un futuristico mix tra Medioevo e atmosfera postapocalittica!
RispondiEliminaNon vedo l'ora esca il secondo romanzo e recupererò a breve anche il testo di Viaroli.
Grazie.
Alice