venerdì 19 giugno 2020

Luoghi da sogno & Ambienti romanzeschi Nubi di pioggia all'orizzonte

Luoghi da sogno & Ambienti romanzeschi

Ogni volta cerco un titolo nuovo... ma questa giornata uggiosa mi fa solo pensare:

Nubi di pioggia all'orizzonte.




Ciao a tutti e bentornati su Codex Ludus! Come state? Tutto bene? Siete anche voi stanchi delle mascherine? Nel caso lo siate, ricordate che quando potrete leggere i libri di Davide Ceraso e Andrea Zanotti, sarete comodamente seduti a casa, senza impedimenti di sorta... ma ehi, prima di leggere i loro romanzi (di cui tra l'altro abbiamo degli estratti sotto) leggete la nostra intervista doppia agli autori!

Dove è ambientato il tuo romanzo? Perché lo hai scelto?

D.C.: I fatti narrati nel romanzo “La direzione della coccinella” si svolgono principalmente a Torino.
Credo che Torino sia una città perfetta per ambientare un romanzo, di qualsiasi genere esso sia, perché riesce a essere magica e misteriosa, con le sue viuzze strette e acciottolate, ma al contempo è anche malinconica e romantica, perfetta per scrivere una storia d’amore con personaggi che camminano senza meta tra giardini nati lungo un fiume e piazze incorniciate da splendidi palazzi. 

A.Z.: Il romanzo si sviluppo a “cavallo dei mondi”, fra le anime perse del purgatorio-western dove si ritrova Davide e il “mondo reale” che lui riesce a scorgere attraverso sogni lucidi.
Mi piace sperimentare, amo le ambientazioni western e ho deciso di improntare così il mio purgatorio immaginario… in effetti non mi dispiacerebbe affatto se oltre la soglia ci fosse ad attenderci qualcosa di simile!

Da cosa è ispirata l’ambientazione?

D.C.: Ho vissuto per quasi quindici anni a Torino, vedendone gli aspetti positivi e quelli negativi, osservando i suoi mutamenti dovuti ai preparativi per ospitare le Olimpiadi del 2006 e forse la storia si è nutrita di quel periodo. Poi, quando ho deciso di scrivere il romanzo, l’ambientazione è diventata subito una certezza, è entrata come per osmosi nelle vicende dei personaggi fondendosi imprescindibilmente con loro.

A.Z.: L’ambientazione è frutto della mia passione per le mitologie di diversa estrazione. Si trovano contaminazioni di vario genere, dall’angeologia al voodoo, dalle credenze relative al karma ed al processo di catarsi, a riferimenti prettamente cristiani. Ho cercato di fornire spunti capaci di rendere credibile il sincretismo che ritengo esista fra le diverse religioni. Il tutto ovviamente mescolato ad abbondanti dosi di piombo e scazzottate.

Hai mai pensato di scriverlo in un altro tempo o luogo arrivando a cambiare genere al tuo romanzo? (es. ambientazione fantastica, fantascientifica, immaginaria, in un mondo distopico, in quello attuale, ecc)

D.C.: A essere sincero non ci ho mai pensato. Avevo ben chiara la direzione che volevo prendere quando ho iniziato a scrivere il romanzo e la collocazione fisica e temporale era di fatto già decisa.  

A.Z.: Ehehee, prima sarebbe utile capire in che genere far rientrare il mio lavoretto… gli ingredienti spaziano dal western al fantasy, dal weird all’horror. Tempo e luogo nel romanzo sono concetti molto labili, tanto da rendere il reale ed il sogno l’esatto opposto di quello che intendiamo noi. Agli occhi di Davide, il protagonista, la realtà concreta è quella che sta vivendo, il purgatorio western appunto, mentre la sua realtà pre-dipartita è ora relegata ai suoi sogni, una sorta di viaggio astrale al contrario.

Riesci ad immaginare la tua storia nel passato?

D.C.: “La direzione della coccinella” racconta la ricerca e, in alcuni casi, la perdita dell’amore, in ogni sua sfaccettatura. Questo percorso, che per i personaggi implica una crescita interiore, richiede di compiere delle scelte, altro elemento cardine del romanzo, a volte anche dolorose ma sempre necessarie.
Per questa ragione, credo che la storia possa essere immaginata in un periodo passato, magari a ridosso di qualche avvenimento storico importante.

A.Z.: Mmm, vediamo, nel passato… difficile, avrei avuto dei seri problemi con la caratterizzazione di almeno due dei personaggi, per la mancanza di esplosivi e di colt! La copia mal riuscita di Clint Eastwood non lo vedrei altrettanto bene con un gladio, o una falcata. E men che meno Torakiki, il muso giallo col vizietto di far saltare in aria Arcangeli e quartieri, senza esplosivi e congegni elettronici sarebbe perduto.

Riesci ad immaginare la tua storia nel futuro?

D.C.: Per quanto precisato nella risposta precedente, cioè per la tipologia del racconto, posso immaginare la mia storia nel futuro, magari non troppo lontano, perché credo che l’amore sia comunque un sentimento senza tempo destinato a non estinguersi con il passare degli anni. 


A.Z.: Per un’ambientazione futura avrei di certo riciclato gli Arcangeli-Mech e avrei potuto far sbalzare direttamente la coscienza di Davide all’interno di un intelligenza artificiale con difficoltà nella gestione dei propri sentimenti. Ci si potrebbe lavorare in effetti! Anche El Roi, il macumbeiro voodoo, in salsa tecnosciamano non sarebbe venuto fuori male, secondo me.

Tre posti in cui vorresti ambientare i tuoi prossimi libri?

D.C.: Ho già scritto alcuni racconti ambientati a Genova, che per me è una città di una bellezza rara, imbevuta di un fascino arcano e ha nei carruggi un’ambientazione fantastica.
Un altro luogo in cui mi piacerebbe ambientare un mio romanzo è Siracusa dove l’architettura barocca dell’Isola di Ortigia si riflette nel mare cristallino, una città di luce e ombra, molto emozionante e suggestiva.
Se devo scegliere invece una città estera, direi una metropoli americana tipo Los Angeles o, forse, New Orleans e i vicini bayou.

A.Z.: Allora, il primo libro “futuro”, per quale ho appena firmato il contrattino con Francesca peraltro, è ambientato negli Stati Uniti d’America, nel corso delle guerre indiane. Anche qui c’è lo zampino del fantastico, anche se ho cercato di compiere una ricostruzione storica di buon livello. Fra canyon e villaggi di teepee… e rituali bizzarri, chiamando a raccolta tutte le creature bizzarre che popolano l’immaginario legato al buon vecchio west di frontiera e qualche doveroso riferimento agli Antichi di Lovecraft.
Altro progetto che sto seguendo è legato alla figura di Fra Dolcino. Ci troviamo agli inizi del XIV secolo, nelle vallate fra Biella, Vercelli e dintorni. Per chi conoscesse la storia dell’ultimo degli eretici, già sa che c’è poco da ricamare su una vicenda ricchissima di spunti. Ecco, io tenterò di calare l’elemento fantastico in quest’atmosfera cupa da persecuzioni dell’Inquisizione. Devo solo stabilire se preda delle mire del demonio sia il fraticello, o i suoi persecutori...
Dulcis in fundo, altro progettino che mi frulla in mente, ambientato in un deep web abitato dalle antiche divinità egizie… puro delirio iconoclasta!


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Ora l'intervista è finita, passiamo ad un altro tipo di lettura.
Prima davo per scontato che voi aveste già comprato i libri, ma mi rendo conto che per molti non sia così, quindi quale migliore occasione di questa per dare una sbirciatina?
Sotto qui potete vedere la copertina del romanzo di Davide Ceraso, e subito dopo degli estratti da "La Direzione della Coccinella".




1.

Il cielo color tortora accompagna Lorenzo nel tragitto. La fitta nebbia, fredda e famelica, ingurgita palazzi, strade e sparuti passanti. Un vecchio lampione che si erge a cavallo della viuzza, seminascosto dall’insegna di un hotel, emerge come un giocoliere sui trampoli e la sua luce giallognola illumina un albero spoglio facendolo assomigliare allo scheletro di un mostro ancestrale.
D’improvviso davanti a lui si materializza l’ospedale, triste e malinconico nella sua imponenza. Affiora nella nebbia come un iceberg dal mare. Lorenzo alza lo sguardo verso i piani più alti dove sono sistemate le camere di degenza, un vago bagliore dietro il velo di microscopiche goccioline d’acqua sospese nell’aria. In una di quelle stanze c’è sua moglie, probabilmente in quel momento dorme.

2.

Le foglie palmate hanno cominciato a ingiallire dalla nervatura centrale e ora ondeggiano instabili nel primo vento freddo autunnale. Il silenzio del viale, sul cui asfalto sono sparsi fogli di giornale stropicciati, è interrotto dal fragore del primo bus mattutino che sfreccia vuoto nella corsia riservata, sobbalzando sui binari del tram. Il conducente, sognando un caffè caldo, sbadiglia assonnato.
Poche decine di metri più in avanti, dove il viale incrocia la viuzza prima del semaforo lampeggiante, i primi ambulanti cominciano a montare i tavoli. Frutta e verdura, di lì a poco, avrebbero fatto bella mostra in file ordinate. Osservando il cielo grigio minaccioso di pioggia, i pochi passanti camminano dribblando i venditori che, diversamente dal solito, quella mattina lavorano in silenzio.
Al quinto piano del palazzo sopra il mercato, dietro alla porta finestra senza balcone e con il parapetto a filo della facciata, Lorenzo spegne la sveglia che da un minuto cerca con ostinazione di destarlo dal sonno. La luce proveniente dalla cucina rischiara la stanza altrimenti oscurata da una tenda spessa. Dalle tenebre emerge l’immobile sagoma squadrata di un vecchio armadio a due ante.

3.

I rami del melograno dalle foglie di quercia spiccano in controluce. L’acqua nella quale sono immerse le bronzee radici scintilla colpita obliquamente dagli ultimi raggi del sole che tramonta dietro la torre quadrangolare. Il piccolo borgo, in pochi minuti, si tuffa nella penombra della sera. Le sue viuzze appena rischiarate da una soffusa luce arancio sono deserte. Un gatto grigio passeggia sotto le arcate dei portici per poi sparire in un piccolo varco delle mura. Lorenzo e Valentina entrano mano nella mano. In silenzio. Un fazzoletto porpora, di una tonalità appena più accesa del suo rossetto, copre gli occhi di Valentina. I lembi legati dietro la testa, così come i suoi capelli, le ricadono sul vestito che lascia le spalle e la schiena nude. Il ticchettio dei tacchi a spillo si riflette sulle pareti di mattoni. Lorenzo la conduce adagio lungo la via che si allarga improvvisa in uno spiazzo alla loro destra.
«Dove siamo?»
Non ottenendo risposta si preoccupa. Lorenzo la tranquillizza con una carezza.
«Siamo quasi arrivati…»
Dopo alcuni passi si fermano. Lorenzo vede Hansel e Antonio sul ballatoio e allora fa voltare Valentina toccandole una spalla. Poi si mette di fronte a lei. Le toglie il fazzoletto sciogliendone il nodo.
Lei apre gli occhi e si guarda intorno…


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Rieccoci qui, ora invece parleremo di "Voodoo", il romanzo di Andrea Zanotti, o meglio non ne discuteremo, poiché non è questo il momento della discussione ma della lettura, leggeremo infatti anche per lui tre estratti che ci descriveranno le sue ambientazioni. 



1.

Un cielo plumbeo sovrasta una via deserta. Mai viste nubi del genere, capaci di spodestare ogni sprazzo di blu e di ingoiare ogni raggio di luce. A bocca spalancata osservo quel grigio sterminato, privo di confini e increspature, un grigio cenere uniforme, una tavola perfetta e incolore, aliena. Più che nuvole sembra uno strato omogeneo di pittura, poi mi imbatto nell’assurdo. Non credo ai miei occhi e crollo sulle ginocchia, sfuggendo alla presa di Sparviero che, gentilmente, tenta di sostenermi.
«Ragazzo, che combini?» 
Fisso una costellazione pulsare di luce rossa. Da lì proviene la blanda illuminazione che permea il creato. Linee e punti luminosi che congiungendosi formano il disegno neanche troppo stilizzato di un toro maestoso, con corna e torace all’infuori in una posa arrogante. Invade buona parte del cielo innanzi a me, perdendosi all’orizzonte. Stelle collegate da rette perfette, quasi fossi al cospetto di un’applicazione astronomica da smartphone.
«Bello, vero?» cerca di riscuotermi il cowboy, senza successo.
Sento lacrime ardenti colarmi lungo le guance e inizio a tremare. Non riesco a ragionare, sto impazzendo; dev’essere così, non c’è alcun aggancio razionale che mi possa far pensare ad altro.
Forse non sarò morto, ma di certo non sono a casa, né nel mio mondo. Merda! Dov’è finito il sole? Dove cazzo è il sole?!
Sparviero mi solleva di peso e mi rifila due ceffoni capaci di ridestarmi. Lo fisso cercando di trattenere le lacrime, le guance in fiamme e l’orgoglio che mi insulta nel petto con rabbia. Mi volto in tutte le direzioni, spaziando con lo sguardo oltre le file di casette che compongono questa sorta di cittadina da vecchio west. Sono allineate ai bordi di una strada deserta e polverosa, una ventina per lato, tutte piccole abitazioni in legno di uno, massimo due piani. Niente asfalto, né semafori o auto. Niente insegne luminose o cartelli pubblicitari. 
Poi lo vedo, alla mia sinistra, innalzato nell’alto dei cieli, un altro ammasso di stelle a formare un’aquila, l’apertura alare vasta chissà quanti anni luce. Il cuore mi batte all’impazzata e sudo freddo. Non mi fermo oltre, lo sguardo che spazia per altri novanta gradi: un leone, la criniera composta da ammassi di stelle o galassie. Proseguo, un uomo fatto di astri e comete, e poi chiudo il cerchio, tornando al toro.

2.

Lo scenario è molto simile a come ci si potrebbero immaginare gli inferi. Sotto il solito cielo color piombo, illuminato dalle costellazioni degli Evangelisti, si scorgono in lontananza vulcani e monti dalle cime aguzze. Invece che dalla neve, sono coronate da manti rossi. Fontane di lava spruzzano a intervalli irregolari accompagnate da tuoni e folgori, e veri e propri fiumi di magma scendono dalle loro pendici. Ovunque ardono fuochi immani, e fumo più nero dell’abisso sale verso il cielo grigio. Un giacimento petrolifero andato in fiamme non sarebbe nulla a confronto.
C’è un caldo infernale, penso, e quasi mi metto a ridere da solo. 
«Intendi il reame di Satana? Proprio quello?»
«Satana, Belzebù, Baal, Lucifero, Pwcca, Pan, Chernobog, Seth, Loki, Mammona, Moloch… non saprei dirti di preciso. Ogni tanto qualche Demone Maggiore, o qualche Divinità Oscura, tenta di appropriarsi di un lembo di questo regno.» 
Mi indica qualcosa col braccio teso. Poco discosto da noi garrisce al vento pestilenziale che flagella questo luogo, uno stendardo color avorio, al centro del quale campeggia un rombo rubino trafitto da due lance di fuoco.

3.

Il territorio è ondulato, un continuo alternarsi di dune e doline dalle varie tonalità fuligginose. 
Non abbiamo incontrato anima viva dopo aver abbandonato l’ultimo villaggio. Non che me ne sorprenda, ma percorrere così tanta strada senza incontrare uomo, anima o animale, mi fa ancora un certo effetto. Credo che gli astronauti possano sentirsi così quando compiono i loro viaggi nello spazio infinito. Almeno loro, però, possono godersi lo spettacolo degli astri luminosi, mentre il nostro panorama è perennemente opprimente e tetro.
Sto iniziando a comprendere il concetto dello spazio «mutevole» illustratomi tempo addietro da Esmeralda. In effetti colline e montagne compaiono quasi all’improvviso, partorite da banchi di nebbia e fumi e ceneri che ogni tanto oscurano l’intero orizzonte, sostituendosi alle pianure desertiche. La polvere mi fa bruciare occhi e gola. È un castigo continuo. 
L’idea di trascorrere l’eternità in queste lande mi deprime al punto che riesco a comprendere la scelta coraggiosa dei penitenti. Loro hanno un obiettivo, il più nobile in realtà, sotto molti punti di vista, anche per chi come me non ha mai avuto fede: trovare l’illuminazione e Dio. E soprattutto lasciarsi alle spalle questo posto che porterebbe chiunque a tagliarsi le vene.



Dopo il momento degli ambienti romanzeschi, che danno il nome a questa rubrica, torniamo a noi.
Come vi è sembrata la collaborazione di oggi con Dark Zone? Vi sono piaciuti i nostri autori?
Fatecelo sapere con un commento qui sotto e sui nostri account social.
Intanto io vi saluto. Ciao e alla prossima!


*Enrico*

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