mercoledì 18 ottobre 2017

Luoghi da sogno & Ambienti romanzeschi, Gli Spiriti Selvaggi

Luoghi da sogno & Ambienti romanzeschi
Gli Spiriti Selvaggi
La Leggenda dei Cavalieri di Asha

Ciao a tutti e bentornati su Codex Ludus, bentornati nella nostra rubrica Luoghi da sogno & Ambienti romanzeschi. Oggi parliamo del romanzo di Andrea de Angelis: Gli Spiriti Selvaggi, La Leggenda dei Cavalieri di Asha.
In questa tappa del blog tour di Dark Zone, intervisteremo Andrea, che gentilmente ci ha offerto degli estratti del suo romanzo, così possiamo assaporare tutto quello che aveva immaginato leggendone le descrizioni.
Buona lettura.

1. Dove è ambientato il tuo romanzo? Perché lo hai scelto?
Il romanzo è ambientato nelle Terre di Asha, un mondo in cui gli esseri umani non sono l'unica specie dominante. Scrivendo, ho esplorato quali potrebbero essere le difficoltà e le sfide del vivere in un luogo abitato anche da altre specie senzienti diverse da noi. 
Con il ciclo de Gli Spiriti Selvaggi, vorrei sfruttare tutto ciò che il fantasy epico ha da offire. Avventura, enigmi, quest, intrighi, battaglie e personaggi con storie particolari.
Nei protagonisti ci si può immedesimare, non sono niente affatto perfetti, ognuno ha storia  alle spalle che lo porterà ad affrontare i problemi in maniera diversa. 
Nelle Terre di Asha, inoltre, l'evoluzione ha preso diverse strade, le creature di cui leggerete non sono solo frutto della fantasia, sono anche probabili esseri viventi, da un punto di vista anatomico. Ho voluto affrontare l'ambito della “Fantastic Creature Anatomy”, tipico dell'illustrazione, perché lo trovavo stimolante come scrittore e, appunto, come illustratore.

2. Da cosa è ispirata l’ambientazione? 
Il romanzo è ambientato storicamente in un periodo simile al medioevo, geograficamente nelle Terre di Asha, luogo in cui  vivono invece delle specie che si trovano ad affrontare dei problemi attuali, dal punto di vista politico, sociale e tecnologico. Ho trovato interessante studiare come, in un altro mondo, le cose si sarebbero potute sviluppare e come altre creature si sarebbero potute comportare nell'avere a che fare con problemi che oggi ci riguardano tutti: fonti di energie alternative, sovrappopolazione ecc.

3. Hai gia in mente qualcosa per i prossimi libri?
Prima o poi scriverò una seria di fantascienza di cui ho già trama e personaggi. Ma più in là, per ora il progetto de “Gli Spiriti Selvaggi” prende già molto tempo!

Ecco la copertina del romanzo

Dopo l'intervista è arrivato il momento che tutti aspettavamo: gli estratti!!!

I

Il sangue colava lento sul mento di Ragos, la bocca era piegata dal dolore. I polsi e le caviglie, legati da fredde catene di metallo, gli dolevano; le braccia erano piegate indietro e tutto il peso del suo corpo ricadeva sulle scapole, tese e livide. 
Quando l’ennesimo pugno lo colpì allo stomaco, strinse di nuovo i denti; poi urlò dal dolore e sputò sangue. Era tentato di liberarsi e di usare uno dei suoi incantesimi per interrompere quella tortura, ma doveva aspettare, fingere di essere alla mercé dei suoi carcerieri finché colui con cui intendeva parlare non sarebbe arrivato. 
Poche ore prima aveva lasciato il Sildrago Maledetto nei pressi di una foresta fossile, ai piedi di un’alta muraglia rocciosa nella quale c’era un’apertura, un grande cancello bronzeo intarsiato. 
Il colore ocra della lunga barriera di pietra aveva cominciato a scurire mentre i soli tramontavano dietro le montagne. Il terreno che conduceva fino al portone era arido e secco; un vento freddo sferzava la valle silenziosa che Ragos aveva attraversato. Era giunto davanti all’entrata; l’ultima volta che aveva visto quell’enorme portone era stato molti anni prima e, in quell’occasione, non aveva avuto molto tempo per ammirarlo. Era in fuga, scappava dalle stesse creature che ora si accingeva a incontrare. 
Afferrò un enorme anello di ferro e lo sbatté con forza contro la porta. Ad accoglierlo vennero due soldati, molto più alti di lui.
Lo stomaco di Ragos si contorse nel vedere il loro aspetto ripugnante. Anche se simili agli umani, erano orripilanti; un’aberrazione, cui era stato permesso di camminare nelle Terre di Asha. 
Indossavano armature leggere di cuoio scuro, decorate con bronzo e intarsiate con rame e placche di zinco; cinte di pelle nera e marrone, adornate di anelli e dischi di metallo, gli avvolgevano la vita. Erano muscolosi, ma grassi e pesanti. Avevano la pelle glabra, il naso porcino e un paio di corna ai lati della testa.
Ragos camminò in un lungo canale roccioso seguito dalle guardie finché non intravide, in lontananza, un altro portone, delle stesse dimensioni del primo. Oltre comparve una vallata, protetta da un altopiano roccioso nella quale sorgevano case e palazzi di pietra. 
Lungo le strade di Almarath, la città dei meldoniti, camminavano uomini e donne simili alle guardie che lo stavano scortando; orribili storpi che trascinavano se stessi nei lavori di ogni giorno. 
Era tornato nel regno dei Guerrieri Deformi. Erano combattenti instancabili e biechi assassini; abitavano le isole a ovest di Suneltha da millenni. Il loro popolo, in passato, aveva conquistato molte terre, ma fu poi cacciato e respinto nell’isola di Makàt, la loro terra nativa, dai primi Cavalieri di Asha. 
Ragos venne bruscamente condotto lungo una via che terminava nei pressi di un grande palazzo. I soldati lo portarono in una stanza le cui porte vennero chiuse alle sue spalle.

II

Ragos aveva sorvolato montagne, pianure e steppe aride per giungere nei pressi dei primi deserti a sud-est di Nuova Keletha, quelli che ricoprivano gran parte del continente di Vallandia e che erano i più estesi esistenti. Aveva osservato il paesaggio scorrere sotto di lui, in sella al Lavico dei Vulcani che volava silenzioso. Vallandia era conosciuto come il continente dei deserti e dei ghiacci, un territorio aspro e ostile, abitato in prevalenza a nord-ovest, nei pressi della Quarta Città Incantata, per poi divenire deserto e poco popolato. La parte meridionale di Vallandia era il luogo prediletto dai guerrieri terkhiti, un popolo di ezteni shiki, le cui immense città, formate da un numero incalcolabile di tende da bivacco, avevano l’aspetto di immensi accampamenti che si estendevano fino all’orizzonte. 
Non c’era un singolo insetto che non fosse esperto nell’arte della guerra e, chi tra di essi non si dimostrava degno di tale capacità, veniva esiliato e abbandonato nelle terre esterne. C’era solo un numero ristretto di sacerdoti addetti ai sacrifici animali e umani e alla pratica di magie e incantesimi, atti a potenziare le armi o i singoli individui; il resto della popolazione era fieramente costituito da quelli che erano conosciuti come i combattenti ezteni più temibili del mondo. Sebbene dotati di uno scheletro esterno, le loro erano fatte di rame, ottone, cuoio scuro e ossa appuntite a ornare spallacci, gambali ed elmi. In passato avevano conquistato numerosi territori che avevano poi lasciato ai Reggenti della Corona e delle Memorie in cambio di tesori e ricchezze. Ora abitavano quelle che erano, per loro, le zone più congeniali, cacciando la fauna e la selvaggina locale e raccogliendo e coltivando le piante autoctone che, dal loro punto di vista, erano le più nutrienti e rinvigorenti. 
Alcuni appartenenti all’Ordine degli Ancestri avevano studiato le la flora locale, scoprendo proprietà molto particolari. Le piante producevano delle esotossine eccitanti che donavano forza e vigore e delle neurotossine che inibivano le sensazioni di fatica e di spossamento. Se uno di loro avesse mangiato piante con tali caratteristiche non sarebbe probabilmente sopravvissuto al pasto, divenendo frenetico, incapace di gestire le proprie azioni e soccombendo infine al loro potere allucinatorio. Gli animali erbivori della zona, invece, avevano sviluppato delle difese naturali e se ne cibavano tranquillamente; il loro apparato digerente fungeva quindi da filtro e i guerrieri che se ne nutrivano potevano usufruire senza rischi delle proprietà delle piante senza rischiare la vita

III

Le Montagne di Carbone li accolsero silenziose e tetre; nell’aria c’erano solo i versi dei corvi che si attardavano tra i rami dei tronchi avvizziti e deformati dal passaggio delle fiamme. Non si sentivano più i rumori degli animali né quelli provenienti dai villaggi lontani. 
Le nubi strisciavano lente sulle vette più alte. La loro forma grigia e densa si fondeva con la terra nera e sterile che nascondeva le cime alla vista. Indirizzarono i cavalli verso i sentieri ripidi che li avrebbero condotti fino ai cancelli della città abbandonata. 
Giunti a una quota più elevata, si avvicinarono all’entrata orientale. L’antica città aveva forma ovale. Era stata costruita su una vasta pianura e due ordini di mura concentriche, alte e chiare, la circondavano e la proteggevano da predoni e invasori. Sopra di esse, innumerevoli statue di antichi condottieri scrutavano la nebbia come sentinelle, ergendosi sul tetto dei lunghi terrazzi che ornavano la cima stessa delle mura. 
Ai lati dell’entrata orientale erano stati scolpiti due Carboniferi delle ceneri; semidistrutti dal fuoco e dalle intemperie, guardavano verso il basso e scrutavano con occhi millenari chi giungeva nella città. 
Le vie di accesso a Keletha Antica erano costituite da lunghi e stretti viali che attraversavano le mura di cinta, ampi e in passato ben pavimentati, costellati di file di colonne che si innalzavano fino al cielo, intervallate da statue di draghi; sul lato destro erano voltati verso chi accedeva alla città; dal lato opposto, scrutavano silenziosi chi la lasciava. 
Se mai un esercito invasore avesse tentato di entrare, avrebbe dovuto incanalarsi lungo il viale, sorvegliato da sentinelle. 
Al termine del corso, i resti della statua di Keleth si stagliavano inerti nella nebbia, come l’ombra di un gigante addormentato. Superarono il guardiano e si addentrarono nella città abbandonata. L’aria si fece fredda, un insidioso vento gelido soffiava da nord, costringendoli a indossare le pellicce. 
Mohegan alzò lo sguardo e ammirò affascinato l’architettura dell’Era precedente, lascito di un’epoca in cui opere imponenti e meravigliose erano state erette in tutte le terre. Ora, di quella gloria, rimanevano solo rovine. Grandi arcate che si ergevano più in alto delle nubi giacevano nella cenere; piazze dal pavimento dissestato reggevano edifici in rovina, circondati dalla foschia che le aveva sottratti al mondo per carpirli e stringerli in un freddo e sinistro abbraccio. Le case adornate da merletti, guglie e colonne di marmo erano ora silenziose sentinelle di un infausto crepuscolo, etereo e interiore, che sembrava durare l’intero giorno e l’intera notte, da interi secoli e millenni. 
Raggiunsero il tempio del Cavaliere Fondatore. Un largo piazzale ovale che avrebbe potuto contenere un intero esercito si mostrò a loro; era circondato da rovine di edifici, case, statue e luoghi di culto. Il Tempio Di Keleth si ergeva silente, dal lato opposto della piazza. Lo stilobate, il colonnato e il frontone sporgevano da un’alta parete di roccia; un ampio tetto fungeva da balconata e su di esso si apriva un portone di ferro ossidato decorato da bassorilievi e fiancheggiato da due file di colonne scolpite nella pietra. 
Mohegan congiunse le mani davanti alla bocca e ci soffiò dentro, scaldandole col calore del fiato. I suoi occhi si mossero sulle facciate di ogni edificio. Quel luogo non gli piaceva. Era troppo silenzioso. Le costruzioni intorno a loro avevano troppi punti in ombra. Pensò che non sarebbe stato prudente passare lì la notte e che sarebbe stato meglio uscire dalla città per poi rientrarvi il giorno dopo, quando i Soli di Asha avrebbero nuovamente illuminato il loro cammino. 
Cosa ne pensate? Siete entrati nello spirito fantasy delle terre di Asha? 
Supportate Andrea De Angelis acquistando il suo libro e aiuterete la communuty degli autori indipendenti italiani!
Ora devo proprio salutarvi. Ciao e alla prossima!

*ENRICO*

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