giovedì 21 novembre 2019

Luoghi da sogno & Ambienti romanzeschi Una Tripla Intervista

Luoghi da sogno & Ambienti romanzeschi

Una Tripla Intervista 


Ciao a tutti,
e bentornati su Codex Ludus.
Oggi sono qui per presentarvi tre nuovi romanzi targati Dark Zone.
Come sempre non può mancare la nostra super intervista e soprattutto gli estratti che vi incentiveranno nell'acquisto dei vostri prossimi libri.
Cosa stiamo aspettando, iniziamo subito!.
I nostri intervistati:
Fernado Santini
Fabio Monteduro
Michele Giannone


1.   Dove è ambientato il tuo romanzo? Perché lo hai scelto?

FABIO: Il romanzo è ambientato principalmente in Italia, a Roma e dintorni, anche se arriva anche in Germania. Ho scelto questa ambientazione, perché credo che bisogna scrivere di ciò che si conosce e questo vale, quasi sempre, anche per le ambientazioni.

FERNANDO: La storia si svolge per la gran parte a Roma e poi si sposta a Torino e Milano. La scelta di Roma nasce dalla capacità che ha questa città tentacolare, di avere migliaia di persone che si incrociano e non si rendono conto di essersi sfiorate. Torino e Milano sono state inserite per la loro connotazione esoterica, che consentiva di dare la giusta dimensione ad una storia che tratta, tra l’altro, di una setta religiosa.

MICHELE: In un paesino ai piedi dell’Etna che non risulta sulle carte geografiche ma che avrebbe potuto benissimo esserci.
L’ho scelto perché mi piaceva l’idea di un piccolo microcosmo simile a quello in cui sono cresciuto io, abbastanza cristallizzato nelle proprie abitudine e nei propri ritmi che, d’improvviso, è sconvolto da una serie di eventi coi quali gli abitanti del posto non s’erano mai confrontati prima.

2.   Da cosa è ispirata l’ambientazione?

FABIO: Dalla vita reale e dallo svolgimento della storia.

FERNANDO: Dalla necessità di portare il lettore in luoghi in cui potersi riconoscere, per poi spalancare le porte dell’orrore, perché in quei luoghi reali il crimine su cui indaga la SICE potrebbe verificarsi per davvero.  
  
MICHELE: L’immagine forte che ha orientato la mia scelta è quella dell’Etna durante un’eruzione. Avendo vissuto a lungo a Catania, con la presenza incombente del vulcano sopra la mia testa, mi sono chiesto spesso quale peso potesse avere un “vicino” così ingombrante per chi avesse dovuto averci a che fare ogni giorno della propria esistenza.

3.   Hai mai pensato di scriverlo in un altro tempo o luogo arrivando a cambiare genere al tuo romanzo? (es. ambientazione fantastica, fantascientifica, immaginaria, in un mondo distopico, in quello attuale, ecc)

FABIO: Francamente no. Essendo un thriller e avendo una sua precida collocazione spazio/temporale, sarebbe difficile trasmutarla in altri tempi. E poi, io sono “monomaniaco” nello scrivere. Mi piace, leggo, guardo, e quindi scrivo, thriller/horror/fantascienza.

FERNANDO: No, la costruzione del romanzo è stata sin da subito pensata per un ambito contemporaneo. Le tecniche investigative e i meccanismi messi in atto dai “cattivi” sono tecnologici e sono collegati al nostro tempo. Con il romanzo volevo anche far capire come sia possibile, usando la tecnologia, tenere sotto controllo le persone o svolgere indagini accurate sui loro spostamenti, sulle loro azioni. Questo poteva avvenire solo mantenendo la storia in un ambito contemporaneo.

MICHELE: No, proprio perché in virtù di quanto ho detto sopra, il ruolo dell’Etna e la specificità del contesto all’interno del romanzo avrebbero reso difficile trasferire la vicenda in un posto diverso e, se non  impossibile, quantomeno complicato traslarla in un’altra epoca.


4.   Riesci a immaginare la tua storia nel passato?

FABIO: Leggendo questo romanzo, si può comprendere che non occorre immaginare troppo. CI sono molti flashback che ci portano avanti e indietro nel tempo.

FERNANDO: In linea teorica, ossia considerando solo il tema principale, sì. Il romanzo parla di rapimenti, di indifferenza e di azioni di depistaggio che rendono possibile commettere tanti omicidi senza che nessuno se ne accorga. Immaginiamo, per un istante di essere in una corte medievale, con una setta di assassini che uccide persone innocenti, facendo in modo che nessuno possa collegare tra loro gli omicidi. Aggiungiamo la complicità di un responsabile della guarnigione o di un principe e il gioco sarebbe fatto. 

MICHELE: Sai, adesso che ci penso, sarebbe potuta essere una bella soluzione narrativa. Fermo restando che sono molto soddisfatto di come si è venuto sviluppando il romanzo, portare indietro la lancetta dell’orologio in un’epoca antecedente mi avrebbe regalato un contesto altrettanto affascinante e permesso di addentrarmi nella Rocca Etnea delle origini, tra tradizioni ancestrali e ambienti non ancora contaminati dalla modernità.

5.   Riesci a immaginare la tua storia nel futuro?

FABIO: Si, certo. Non credo che cambierebbe molto.

FERNANDO: Forse questo sarebbe più semplice in quanto mi consentirebbe di ampliare, oltre al tema principale, anche quello secondario legato al controllo che può essere effettuato con la tecnologia. A titolo di esempio, immaginiamo una base spaziale in cui vivano diecimila persone tra scienziati, tecnici, militari e loro famiglie. Ipotizziamo che ogni tanto qualcuno sparisca senza lasciare tracce, pensiamo di coinvolgere, negli omicidi, uno dei militari che devono garantire la sicurezza della base spaziale e il gioco sarebbe fatto. 

MICHELE: Francamente no.

6.   Tre posti in cui vorresti ambientare i tuoi prossimi libri?

FABIO: Quello che sto scrivendo ora, “Ombre”, da cui è stato già tratto un cortometraggio visibile sul mio canale Youtube e sul mio sito (http://fabiomonteduro.site123.me) è ambientato in Italia, a Roma, anche perché tratta di un fatto realmente accaduto. Per gli altri due non saprei, già fatico a immaginare il prossimo, figuriamoci gli altri due. Credo che comunque saranno in Italia, per le ragioni che scrivevo prima, ossia che secondo me bisogna scrivere di ciò che si conosce.

FERNANDO: Il quarto romanzo della serie SICE sarà ambientato a Roma e nel veronese e tratterà di un tema scottante, ma non voglio anticipare nulla.
Poi ci sarà un thriller con elementi di horror, che avrà come palcoscenico gli Stati Uniti con una storia che si svolgerà, principalmente, nei dintorni di Silver Springs (in Nevada) e di Los Angeles.
E infine, mi piacerebbe scrivere una storia che si sviluppi tra Londra, Parigi, Praga e Venezia. Troppe città? In realtà sono un numero adeguato per un thriller internazionale in cui far convivere finanza e spionaggio. 

MICHELE: Non ragiono mai in prospettive tanto lunghe.
Quello nel romanzo con cui mi sto cimentando adesso è un paese simile a quello nel quale vivo io che mi è piaciuto rivedere con in filigrana un elemento fantastico.
Se proprio devo citare un’ambientazione con la quale ho sempre nutrito l’ambizione di cimentarmi (e prima o poi lo farò) è la Roma classica.
Richiede(rebbe) a monte una documentazione approfondita, senza la quale il contesto perderebbe di credibilità, facendo svanire agli occhi del potenziale lettore quel senso d’immersione nella storia indispensabile per catturane l’attenzione.
Perciò mi toccherà fare per bene i compiti a casa prima di lanciarmi in una simile avventura su carta.



L'intervista è terminata ma non scappate via. Vi aspettano ancora gli estratti dedicati ai tre romanzi e le relative copertine.









AMBIENTAZIONE 1



La mattinata era limpida, l’aria tersa e frizzante. Avrebbe dato chissà cosa per respirare un’aria così a Palermo o a Catania. In alto, sopra il profilo della rocca, l’Etna era una cartolina da cui era difficile distogliere gli occhi. Il vulcano non appariva più come un tiranno con in testa una corona in fiamme. Adesso aveva assunto la posa di un padre saggio, minaccioso ma severo soltanto col figlio disubbidiente. Greco sorrise tra sé e sé. Anche a Muntagna era, come tutti loro, una creatura volubile capace di cambiare idea nel giro di poche ore.



AMBIENTAZIONE 2



Greco scese dall’auto. Un refolo di vento freddo come la mano di un morto gli accarezzò il volto. Si alzò il bavero del cappotto e avanzò nella direzione indicata dal carabiniere. Marangolo apparve tra gli alberi, di fronte a lui. La sua espressione gli confermò i sospetti suscitati dalla telefonata: c’era qualcosa di brutto là dietro. Non ci furono convenevoli. Greco seguì il maresciallo. Appena ebbe superato il perimetro delimitato dai castagni, la luce si attenuò screziata dai rami.

Il sottobosco era un mantello di foglie appassite  punteggiato dai tronchi. La zona, a parte un varco per l’accesso, era stata delimitata. Il nastro correva a circa un metro da terra attraverso i fusti degli alberi e attorno ai tronchi. Le strisce bianche e rosse parevano fuori luogo tra i colori dell’autunno. Due carabinieri erano intenti a effettuare rilievi. Compito improbo, pensò Greco. Il vento pareva divertirsi a agitare le foglie con fare capriccioso. Si soffermò solo qualche istante a osservarli. Subito il cadavere calamitò il suo sguardo.



AMBIENTAZIONE 3



La Strada Provinciale 148 iniziava appena usciti dalla zona meridionale di Rocca, costeggiava il cimitero a ridosso del centro abitato e si srotolava sino a Catania, neanche una decina di chilometri più in basso.

Era la via più breve per arrivarci, non la più agevole.

Profonde venature si ramificavano lungo la superficie, incuneandosi tra buche di varie dimensioni e qualche gibbosità sin da quando Greco la percorreva in autobus per recarsi a Catania.

Nel corso degli anni, un’amministrazione comunale dopo un’altra, s’era discusso a lungo su come rendere meno insidiosa quella strada; spesso la Strada Provinciale 148 era stata persino oggetto di dibattito nelle campagne elettorali – Un voto per migliorare il vostro paese.

La Lancia sobbalzò. Franco imprecò. Tante parole, come spesso accadeva lassù, per giungere a una soluzione provvisoria. Grumi di materiale riversato sopra le asperità del mantello stradale a formare isole nere di bitume e pietrisco che lo rendevano ancora meno uniforme.

Bastava qualche ora di pioggia intensa, come quella dei giorni precedenti, e il materiale scivolava via. Nuove lamentele della gente – Il Comune non provvede? Nuove promesse – L’Assessore ci ha garantito che stavolta lo rifaranno tutto, il manto stradale. Nessun risultato concreto, concluse Greco, mentre Franco sterzava a sinistra per evitare una buca.



1)

La statale era un nastro a due corsie che solo dopo diversi chilometri diventava una superstrada. Quattro chilometri più avanti cera il tunnel che passava sotto la montagna e circa quindici chilometri dopo, la loro casa. Avrebbero dovuto deviare di un bel po per arrivare in città (e a quel punto, sarebbero stati dalle parti dei loro amici, inutile tornare indietro) ma non avrebbero certo potuto lasciare quella poveretta con sua figlia in quel bar.

Ma poi, sarà stata una poveretta? Pensò Lorenzo, guidando senza fretta, quasi al centro della strada, le luci accese e ogni tanto uno sguardo allo specchietto laterale da dove vedeva lauto di Noemi seguirlo. Vedeva anche la donna e la bambina, sedute dietro: sembravano manichini, immobili comerano. Si chiese brevemente se non fossero pericolose. Magari quella donna era una rompipalle (di sicuro sua figlia lo era) e il nazistoide aveva le sue ragioni per comportarsi così.



2)

Eravamo morti.

Tutti noi.

Per quanto inammissibile, era così che sarebbe andata a finire.

Erano passate poco più di tre ore da quando eravamo partiti dal campo base. Il direttore del villaggio alpino ci aveva appioppato come battistrada lequivalente di un boy scout alle prime armi.

«Siete solo in cinque» aveva detto, come se questo giustificasse chissà cosa.

Non ricordo molto di come iniziò questo pasticcio, ma fu come imbattersi allimprovviso in un banco di nebbia mentre si percorre un tratto dautostrada. Il muro abbacinante che ti avvolge e non ti fa vedere a un metro dal muso dellauto.

Solo che non era nebbia quella che cinvestì, e lo fece senza preavviso alcuno, di questo va dato atto alla nostra giovane e inesperta guida, anche se il fatto che Andreas fosse lunico di cui avevamo perso immediatamente le tracce, non deponeva di certo a suo vantaggio.

La cosa che più dogni altra non potrò mai dimenticare fu il vento. Teso, cattivo, quasi consapevole di ciò che faceva, quasi animato da una sua propria volontà… avrei avuto modo, in futuro, di ripensare a questa mia ultima considerazione.



3)

La casa di mio nonno, la mia casa ora, era situata al secondo piano di un vetusto palazzo dalla facciata scrostata, che avrebbe avuto bisogno di un restauro peggio di una vecchia prostituta.

Lasciai la Fiesta parcheggiata in sosta vietata, in mancanza di un posto libero nelle vicinanze, e mi avviai.

Superato il portone dingresso, mi trovai di fronte a un ascensore dallaria primitiva e a una scalinata che gli girava intorno, come quella di un campanile. Guardai i nomi sulle cassette della posta e notai che quello di mio nonno non cera, allora affrontai le scale e cominciai a salire.

Per gran parte della notte avevo meditato su cosa avrei fatto con quellinaspettata eredità.

Il mio sogno era sempre stato quello di aprire un pub, un locale dove far esibire band dal vivo e dove ci si potesse incontrare a bere birra e a fare quattro chiacchiere tra amici.

Quante volte ne avevamo parato con Noemi?

Ci immaginavamo un posto con un grande camino in pietra, dove, nelle serate invernali, discreti gruppi jazz allietavano unatmosfera un po fumosa e in penombra.



Ambientazione 1



Un nuovo caso

La scena si svolge in un bar nella zona di Trastevere. Marco Gottardi incontra Stefano Gilardi, un suo vecchio collega che lo ha chiamato in mattinata perché gli voleva parlare di una cosa che pensa di aver scoperto.





Marco Gottardi parcheggia l’auto sul lungotevere e si dirige a piedi verso Piazza Santa Maria in Trastevere. A un tratto si ferma e guarda i palazzi, dai muri color pastello, che si stagliano verso il cielo di un azzurro intenso. Si rende conto che sono anni che non passeggia per le strade del quartiere in cui ha svolto il suo primo incarico di funzionario di Polizia. Arriva sulla piazza e riconosce subito il suo vecchio collega.

«Ciao Stefano, da quanto tempo non ci vediamo» dice abbracciando calorosamente l’altro uomo.

«Sei uguale a venticinque anni fa.»

«Di tempo ne è passato tanto, amico mio.»

«Ho seguito la tua carriera. Prima un ruolo operativo nella lotta alla criminalità organizzata. Poi la gestione di un commissariato a Ercolano. Quindi nuovamente nei reparti operativi.»

«Tutta storia passata.»

«E ora hai la responsabilità di una squadra che si occupa di crimini particolari…»

«E tu cosa ne sai?»

«Il nostro mondo è pieno di gente pettegola. Le persone come te sono sempre seguite con attenzione.»

«Lascia stare le voci di corridoio. Ordiniamo due caffè e poi dimmi di che volevi parlarmi.»

«È questo che mi è sempre piaciuto di te, sei un uomo d’azione, più che di parole» commenta Stefano prendendo posto a un tavolo ed effettuando l’ordinazione al cameriere che si è avvicinato.

«Ti avviso che non ho certezze, ma solo sospetti» esordisce il sovrintendente una volta che i caffè sono stati appoggiati sul tavolo.

«La nostra attività nasce dai sospetti.»

«Iniziamo dal passato. Circa quattordici anni fa mi sono imbattuto nella sparizione di due ragazzi adolescenti. Non ho potuto finire le indagini perché nel frattempo la mia domanda per un lavoro non operativo era stata accolta e venni trasferito in un altro commissariato. Ho tenuto con me copia dei fascicoli di questi due casi perché mi sentivo in colpa per non aver completato l’indagine.»

«Sono cose che capitano. Sei stato proprio tu a insegnarmi che nel nostro mestiere c’è la possibilità che un caso resti irrisolto e che questo non deve farci pensare di essere inefficienti» commenta Marco.

«Hai ragione, ma come sai, chi predica bene razzola male.»

«Come ti capisco…»

«Ebbene, credo che quattro settimane fa sia andata in scena una ripetizione di queste due sparizioni.»

«Cosa stai dicendo?»

«Ho passato la giornata di oggi a fare delle verifiche e troppe cose coincidono.»

«Cosa è successo quattro settimane fa?»

«Una ragazza di quattordici anni è scomparsa.»




Ambientazione 2



La SICE vola verso Varsavia

Due membri della SICE raggiungono Varsavia, alla ricerca di criminali fuggiti nei primi due volumi della serie.



Quando, alle dieci e dieci, il volo Alitalia decolla dall’aeroporto di Fiumicino, Teresa guarda al di là del finestrino e osserva le case, le auto e le strade diventare sempre più piccole.

«Sembra il plastico che avevo da piccolo. Mio padre amava i trenini elettrici e io lo aiutavo a costruire il paesaggio attraverso cui passavano i binari» le dice Vincenzo seduto al suo fianco.

«Mi è sempre piaciuto vedere il mondo dall’alto. Le cose sembrano più belle viste da qui» commenta la giovane poliziotta.

«In realtà la maggior parte delle cose sono belle anche quando noi torniamo giù, solo che spesso siamo troppo occupati per capirlo.»

«Sai che sei una sorpresa continua? Ora mi diventi anche un filosofo?»

«Con l’età si corre questo rischio.»

«Ma tu non sei vecchio.»

«Ho i miei anni. Ho visto molte cose, ho vissuto molte emozioni e situazioni che mi hanno fatto capire che spesso guardiamo il mondo in modo parziale o sbagliato.»

«E questo non ti mette tristezza?»

«No, nel modo più assoluto. Non ho mai desiderato essere infallibile.»

«Mi piace questo tuo modo di essere.»

«Ossia.»

«Concreto, non mi piacciono gli uomini che vivono sulle nuvole» risponde Teresa aprendo il libro di fantascienza che ha portato con sé.

Vincenzo le sorride e prende in mano il giornale immergendosi nella lettura. Il viaggio procede in totale tranquillità pur avendo incontrato una leggera turbolenza nello spazio aereo serbo.






Ambientazione 3



Pedinamento a Torino

Gli operativi di ARCO iniziano a seguire Giovanna Faggini, una giornalista che potrebbe sapere molte cose





Un sensore si accorge che la luce solare del crepuscolo non è più sufficiente a garantire un’adeguata visibilità a passanti e automobilisti e fa scattare un relè che accende le luci della città.

Giovanna Faggini esce proprio in quel momento dal sottopassaggio che collega la stazione di Porta Nuova a piazza Carlo Felice. Si volta a guardare per un istante la facciata della stazione ferroviaria, quindi di incammina sotto i portici per imboccare via Roma. Percorre la strada osservando i negozi di abbigliamento che, con le loro vetrine, rendono ancora più luminoso il marciapiede. Ogni tanto si ferma ad ammirare un vestito e immagina di indossarlo.

Malgrado i suoi cinquant’anni, Giovanna è ancora una donna interessante, la sua figura giunonica si muove agilmente tra la gente che sta passeggiando, facendo voltare qualche uomo al suo passaggio. Cammina senza preoccuparsi della gente che la circonda e non si accorge che due uomini la stanno osservando da quando è scesa dal treno proveniente da Genova.

L’hanno seguita nel sottopassaggio adeguando il loro passo al suo, poi hanno proseguito su via Roma scegliendo il marciapiede opposto a quello percorso dalla giornalista, e, parlando tra di loro, hanno sempre fatto in modo che uno dei due la potesse guardare.

«Antonio, questa è talmente indifferente alla gente che ha intorno che potremmo seguirla a dieci centimetri di distanza senza paura di essere scoperti.»

«Forse hai ragione, ma dobbiamo essere attenti. Lei può non accorgersi di noi, ma tu sei sicuro che nessun poliziotto la stia scortando con discrezione? In fondo è una giornalista che fa inchieste scomode e non è escluso che abbia ricevuto minacce di morte.»

«Non mi sembra di vedere piedipiatti qui intorno.»

«Potrebbero essere più bravi di noi.»

«Lo escludo, noi siamo i migliori.»


Anche per oggi la rubrica sui luoghi e gli ambienti in collaborazione con Dark Zone è terminata.
Spero che gli estratti vi siano piaciuti e che acquisterete uno di questi romanzi.
Ciao ciao,
*Dana*

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