Luoghi da sogno & Ambienti romanzeschi
Una Tripla Intervista
Ciao a tutti,
e bentornati su
Codex Ludus.Oggi sono qui per presentarvi tre nuovi romanzi targati Dark Zone.
Come sempre non può mancare la nostra super intervista e soprattutto gli estratti che vi incentiveranno nell'acquisto dei vostri prossimi libri.
Cosa stiamo aspettando, iniziamo subito!.
I nostri intervistati:
Fernado Santini
Fabio Monteduro
Michele Giannone
1. Dove è ambientato il tuo romanzo?
Perché lo hai scelto?
FABIO: Il
romanzo è ambientato principalmente in Italia, a Roma e dintorni, anche se
arriva anche in Germania. Ho scelto questa ambientazione, perché credo che
bisogna scrivere di ciò che si conosce e questo vale, quasi sempre, anche per
le ambientazioni.
FERNANDO: La storia si svolge per la gran parte a Roma e poi si
sposta a Torino e Milano. La scelta di Roma nasce dalla capacità che ha questa
città tentacolare, di avere migliaia di persone che si incrociano e non si
rendono conto di essersi sfiorate. Torino e Milano sono state inserite per la
loro connotazione esoterica, che consentiva di dare la giusta dimensione ad una
storia che tratta, tra l’altro, di una setta religiosa.
MICHELE: In un
paesino ai piedi dell’Etna che non risulta sulle carte geografiche ma che
avrebbe potuto benissimo esserci.
L’ho scelto perché
mi piaceva l’idea di un piccolo microcosmo simile a quello in cui sono
cresciuto io, abbastanza cristallizzato nelle proprie abitudine e nei propri
ritmi che, d’improvviso, è sconvolto da una serie di eventi coi quali gli
abitanti del posto non s’erano mai confrontati prima.
2. Da cosa è ispirata l’ambientazione?
FABIO: Dalla
vita reale e dallo svolgimento della storia.
FERNANDO: Dalla necessità di portare il lettore in luoghi in
cui potersi riconoscere, per poi spalancare le porte dell’orrore, perché in
quei luoghi reali il crimine su cui indaga la SICE potrebbe verificarsi per
davvero.
MICHELE: L’immagine
forte che ha orientato la mia scelta è quella dell’Etna durante un’eruzione.
Avendo vissuto a lungo a Catania, con la presenza incombente del vulcano sopra
la mia testa, mi sono chiesto spesso quale peso potesse avere un “vicino” così
ingombrante per chi avesse dovuto averci a che fare ogni giorno della propria
esistenza.
3. Hai mai pensato di scriverlo in un altro
tempo o luogo arrivando a cambiare genere al tuo romanzo? (es. ambientazione
fantastica, fantascientifica, immaginaria, in un mondo distopico, in quello
attuale, ecc)
FABIO: Francamente
no. Essendo un thriller e avendo una sua precida collocazione spazio/temporale,
sarebbe difficile trasmutarla in altri tempi. E poi, io sono “monomaniaco”
nello scrivere. Mi piace, leggo, guardo, e quindi scrivo,
thriller/horror/fantascienza.
FERNANDO: No, la costruzione del romanzo è stata sin da subito
pensata per un ambito contemporaneo. Le tecniche investigative e i meccanismi
messi in atto dai “cattivi” sono tecnologici e sono collegati al nostro tempo.
Con il romanzo volevo anche far capire come sia possibile, usando la
tecnologia, tenere sotto controllo le persone o svolgere indagini accurate sui
loro spostamenti, sulle loro azioni. Questo poteva avvenire solo mantenendo la
storia in un ambito contemporaneo.
MICHELE: No, proprio
perché in virtù di quanto ho detto sopra, il ruolo dell’Etna e la specificità
del contesto all’interno del romanzo avrebbero reso difficile trasferire la
vicenda in un posto diverso e, se non impossibile,
quantomeno complicato traslarla in un’altra epoca.
4. Riesci a immaginare la tua storia nel
passato?
FABIO: Leggendo
questo romanzo, si può comprendere che non occorre immaginare troppo. CI sono
molti flashback che ci portano avanti e indietro nel tempo.
FERNANDO: In linea teorica, ossia considerando solo il tema
principale, sì. Il romanzo parla di rapimenti, di indifferenza e di azioni di
depistaggio che rendono possibile commettere tanti omicidi senza che nessuno se
ne accorga. Immaginiamo, per un istante di essere in una corte medievale, con
una setta di assassini che uccide persone innocenti, facendo in modo che
nessuno possa collegare tra loro gli omicidi. Aggiungiamo la complicità di un
responsabile della guarnigione o di un principe e il gioco sarebbe fatto.
MICHELE: Sai, adesso
che ci penso, sarebbe potuta essere una bella soluzione narrativa. Fermo
restando che sono molto soddisfatto di come si è venuto sviluppando il romanzo,
portare indietro la lancetta dell’orologio in un’epoca antecedente mi avrebbe
regalato un contesto altrettanto affascinante e permesso di addentrarmi nella
Rocca Etnea delle origini, tra tradizioni ancestrali e ambienti non ancora contaminati
dalla modernità.
5. Riesci a immaginare la tua storia nel
futuro?
FABIO: Si,
certo. Non credo che cambierebbe molto.
FERNANDO: Forse questo sarebbe più semplice in quanto mi
consentirebbe di ampliare, oltre al tema principale, anche quello secondario
legato al controllo che può essere effettuato con la tecnologia. A titolo di
esempio, immaginiamo una base spaziale in cui vivano diecimila persone tra
scienziati, tecnici, militari e loro famiglie. Ipotizziamo che ogni tanto
qualcuno sparisca senza lasciare tracce, pensiamo di coinvolgere, negli
omicidi, uno dei militari che devono garantire la sicurezza della base spaziale
e il gioco sarebbe fatto.
MICHELE: Francamente
no.
6. Tre posti in cui vorresti ambientare
i tuoi prossimi libri?
FABIO: Quello
che sto scrivendo ora, “Ombre”, da cui è stato già tratto un cortometraggio
visibile sul mio canale Youtube e sul mio sito (http://fabiomonteduro.site123.me) è ambientato in Italia, a Roma, anche perché tratta
di un fatto realmente accaduto. Per gli altri due non saprei, già fatico a
immaginare il prossimo, figuriamoci gli altri due. Credo che comunque saranno
in Italia, per le ragioni che scrivevo prima, ossia che secondo me bisogna
scrivere di ciò che si conosce.
FERNANDO: Il quarto romanzo della serie SICE sarà ambientato a
Roma e nel veronese e tratterà di un tema scottante, ma non voglio anticipare
nulla.
Poi ci sarà un thriller con elementi di horror, che avrà come
palcoscenico gli Stati Uniti con una storia che si svolgerà, principalmente,
nei dintorni di Silver Springs (in Nevada) e di Los Angeles.
E infine, mi piacerebbe scrivere una storia che si sviluppi tra
Londra, Parigi, Praga e Venezia. Troppe città? In realtà sono un numero
adeguato per un thriller internazionale in cui far convivere finanza e
spionaggio.
MICHELE: Non ragiono
mai in prospettive tanto lunghe.
Quello nel romanzo
con cui mi sto cimentando adesso è un paese simile a quello nel quale vivo io
che mi è piaciuto rivedere con in filigrana un elemento fantastico.
Se proprio devo
citare un’ambientazione con la quale ho sempre nutrito l’ambizione di
cimentarmi (e prima o poi lo farò) è la Roma classica.
Richiede(rebbe) a
monte una documentazione approfondita, senza la quale il contesto perderebbe di
credibilità, facendo svanire agli occhi del potenziale lettore quel senso
d’immersione nella storia indispensabile per catturane l’attenzione.
Perciò mi toccherà
fare per bene i compiti a casa prima di lanciarmi in una simile avventura su
carta.
L'intervista è
terminata ma non scappate via. Vi aspettano ancora gli estratti dedicati ai tre
romanzi e le relative copertine.
AMBIENTAZIONE
1
La mattinata era limpida, l’aria tersa e frizzante. Avrebbe
dato chissà cosa per respirare un’aria così a Palermo o a Catania. In alto,
sopra il profilo della rocca, l’Etna era una cartolina da cui era difficile
distogliere gli occhi. Il vulcano non appariva più come un tiranno con in testa
una corona in fiamme. Adesso aveva assunto la posa di un padre saggio,
minaccioso ma severo soltanto col figlio disubbidiente. Greco sorrise tra sé e
sé. Anche a Muntagna era, come tutti
loro, una creatura volubile capace di cambiare idea nel giro di poche ore.
AMBIENTAZIONE
2
Greco
scese dall’auto. Un refolo di vento freddo come la mano di un morto gli
accarezzò il volto. Si alzò il bavero del cappotto e avanzò nella direzione
indicata dal carabiniere. Marangolo apparve tra gli alberi, di fronte a lui. La
sua espressione gli confermò i sospetti suscitati dalla telefonata: c’era
qualcosa di brutto là dietro. Non ci furono convenevoli. Greco seguì il
maresciallo. Appena ebbe superato il perimetro delimitato dai castagni, la luce
si attenuò screziata dai rami.
Il sottobosco era un mantello di foglie appassite punteggiato dai tronchi. La zona, a parte un
varco per l’accesso, era stata delimitata. Il nastro correva a circa un metro
da terra attraverso i fusti degli alberi e attorno ai tronchi. Le strisce
bianche e rosse parevano fuori luogo tra i colori dell’autunno. Due carabinieri
erano intenti a effettuare rilievi. Compito improbo, pensò Greco. Il
vento pareva divertirsi a agitare le foglie con fare capriccioso. Si soffermò
solo qualche istante a osservarli. Subito il cadavere calamitò il suo sguardo.
AMBIENTAZIONE
3
La Strada Provinciale 148 iniziava appena usciti dalla zona
meridionale di Rocca, costeggiava il cimitero a ridosso del centro abitato e si
srotolava sino a Catania, neanche una decina di chilometri più in basso.
Era la via più breve per arrivarci, non la più agevole.
Profonde venature si ramificavano lungo la superficie,
incuneandosi tra buche di varie dimensioni e qualche gibbosità sin da quando
Greco la percorreva in autobus per recarsi a Catania.
Nel corso degli anni, un’amministrazione comunale dopo
un’altra, s’era discusso a lungo su come rendere meno insidiosa quella strada;
spesso la Strada Provinciale 148 era stata persino oggetto di dibattito nelle
campagne elettorali – Un voto per
migliorare il vostro paese.
La Lancia sobbalzò. Franco imprecò. Tante parole, come
spesso accadeva lassù, per giungere a una soluzione provvisoria. Grumi di
materiale riversato sopra le asperità del mantello stradale a formare isole
nere di bitume e pietrisco che lo rendevano ancora meno uniforme.
Bastava qualche ora di pioggia intensa, come quella dei
giorni precedenti, e il materiale scivolava via. Nuove lamentele della gente – Il Comune non provvede? Nuove promesse –
L’Assessore ci ha garantito che stavolta
lo rifaranno tutto, il manto stradale. Nessun risultato concreto, concluse
Greco, mentre Franco sterzava a sinistra per evitare una buca.
1)
La statale era un nastro a due
corsie che solo dopo diversi chilometri diventava una superstrada. Quattro
chilometri più avanti
c’era il
tunnel che passava sotto la montagna e circa quindici chilometri dopo, la loro
casa. Avrebbero dovuto deviare di un bel po’ per arrivare in città (e a quel punto, sarebbero stati dalle parti dei loro
amici, inutile tornare indietro) ma non avrebbero certo potuto lasciare quella
poveretta con sua figlia in quel bar.
Ma poi, sarà stata una poveretta? Pensò Lorenzo, guidando senza
fretta, quasi al centro della strada, le luci accese e ogni tanto uno sguardo
allo specchietto laterale da dove vedeva l’auto di Noemi seguirlo. Vedeva anche la donna e la
bambina, sedute dietro: sembravano manichini, immobili com’erano. Si chiese brevemente
se non fossero pericolose. Magari quella donna era una rompipalle (di sicuro
sua figlia lo era) e il nazistoide aveva le sue ragioni per comportarsi così.
2)
Eravamo morti.
Tutti noi.
Per quanto inammissibile, era così che sarebbe andata a finire.
Erano passate poco più di tre ore da quando eravamo
partiti dal campo base. Il direttore del villaggio alpino ci aveva appioppato
come battistrada l’equivalente di un boy scout alle
prime armi.
«Siete solo in cinque» aveva
detto, come se questo giustificasse chissà cosa.
Non ricordo molto di come iniziò questo pasticcio, ma fu come
imbattersi all’improvviso in un banco di nebbia
mentre si percorre un tratto d’autostrada. Il muro abbacinante
che ti avvolge e non ti fa vedere a un metro dal muso
dell’auto.
Solo che non era nebbia quella
che c’investì, e lo fece senza preavviso
alcuno, di questo va dato atto alla nostra giovane e inesperta guida, anche se
il fatto che Andreas fosse l’unico di cui avevamo perso
immediatamente le tracce, non deponeva di certo a suo
vantaggio.
La cosa che più d’ogni altra non potrò mai dimenticare fu il vento.
Teso, cattivo, quasi consapevole di ciò che faceva, quasi animato da una
sua propria volontà… avrei avuto modo, in futuro, di
ripensare a questa mia ultima considerazione.
3)
La casa di mio nonno, la mia casa ora, era situata al
secondo piano di un vetusto palazzo dalla facciata scrostata, che avrebbe avuto
bisogno di un restauro peggio di una vecchia prostituta.
Lasciai la Fiesta parcheggiata in sosta vietata, in
mancanza di un posto libero nelle vicinanze, e mi avviai.
Superato il portone d’ingresso,
mi trovai di fronte a un ascensore dall’aria primitiva e a una scalinata
che gli girava intorno, come quella di un campanile. Guardai i nomi sulle
cassette della posta e notai che quello di mio nonno non c’era, allora affrontai le scale e cominciai a salire.
Per gran parte della notte avevo meditato su cosa
avrei fatto con quell’inaspettata eredità.
Il mio sogno era sempre stato quello di aprire un pub,
un locale dove far esibire band dal vivo e dove ci si potesse incontrare a bere
birra e a fare quattro chiacchiere tra amici.
Quante volte ne avevamo parato con Noemi?
Ci immaginavamo un posto con un grande camino in
pietra, dove, nelle serate invernali, discreti gruppi jazz allietavano un’atmosfera un po’ fumosa e in penombra.
Ambientazione 1
Un nuovo caso
La scena si svolge in un bar
nella zona di Trastevere. Marco Gottardi incontra Stefano Gilardi, un suo
vecchio collega che lo ha chiamato in mattinata perché gli voleva parlare di
una cosa che pensa di aver scoperto.
Marco
Gottardi parcheggia l’auto sul lungotevere e si dirige a piedi verso Piazza
Santa Maria in Trastevere. A un tratto si ferma e guarda i palazzi, dai muri
color pastello, che si stagliano verso il cielo di un azzurro intenso. Si rende
conto che sono anni che non passeggia per le strade del quartiere in cui ha
svolto il suo primo incarico di funzionario di Polizia. Arriva sulla piazza e
riconosce subito il suo vecchio collega.
«Ciao
Stefano, da quanto tempo non ci vediamo» dice abbracciando calorosamente
l’altro uomo.
«Sei
uguale a venticinque anni fa.»
«Di
tempo ne è passato tanto, amico mio.»
«Ho
seguito la tua carriera. Prima un ruolo operativo nella lotta alla criminalità
organizzata. Poi la gestione di un commissariato a Ercolano. Quindi nuovamente
nei reparti operativi.»
«Tutta
storia passata.»
«E
ora hai la responsabilità di una squadra che si occupa di crimini particolari…»
«E
tu cosa ne sai?»
«Il
nostro mondo è pieno di gente pettegola. Le persone come te sono sempre seguite
con attenzione.»
«Lascia
stare le voci di corridoio. Ordiniamo due caffè e poi dimmi di che volevi
parlarmi.»
«È
questo che mi è sempre piaciuto di te, sei un uomo d’azione, più che di parole»
commenta Stefano prendendo posto a un tavolo ed effettuando l’ordinazione al
cameriere che si è avvicinato.
«Ti
avviso che non ho certezze, ma solo sospetti» esordisce il sovrintendente una
volta che i caffè sono stati appoggiati sul tavolo.
«La
nostra attività nasce dai sospetti.»
«Iniziamo
dal passato. Circa quattordici anni fa mi sono imbattuto nella sparizione di
due ragazzi adolescenti. Non ho potuto finire le indagini perché nel frattempo
la mia domanda per un lavoro non operativo era stata accolta e venni trasferito
in un altro commissariato. Ho tenuto con me copia dei fascicoli di questi due
casi perché mi sentivo in colpa per non aver completato l’indagine.»
«Sono
cose che capitano. Sei stato proprio tu a insegnarmi che nel nostro mestiere
c’è la possibilità che un caso resti irrisolto e che questo non deve farci
pensare di essere inefficienti» commenta Marco.
«Hai
ragione, ma come sai, chi predica bene razzola male.»
«Come
ti capisco…»
«Ebbene,
credo che quattro settimane fa sia andata in scena una ripetizione di queste
due sparizioni.»
«Cosa
stai dicendo?»
«Ho
passato la giornata di oggi a fare delle verifiche e troppe cose coincidono.»
«Cosa
è successo quattro settimane fa?»
«Una
ragazza di quattordici anni è scomparsa.»
Ambientazione 2
La SICE vola verso Varsavia
Due membri della SICE raggiungono
Varsavia, alla ricerca di criminali fuggiti nei primi due volumi della serie.
Quando,
alle dieci e dieci, il volo Alitalia decolla dall’aeroporto di Fiumicino,
Teresa guarda al di là del finestrino e osserva le case, le auto e le strade
diventare sempre più piccole.
«Sembra
il plastico che avevo da piccolo. Mio padre amava i trenini elettrici e io lo
aiutavo a costruire il paesaggio attraverso cui passavano i binari» le dice
Vincenzo seduto al suo fianco.
«Mi
è sempre piaciuto vedere il mondo dall’alto. Le cose sembrano più belle viste
da qui» commenta la giovane poliziotta.
«In
realtà la maggior parte delle cose sono belle anche quando noi torniamo giù,
solo che spesso siamo troppo occupati per capirlo.»
«Sai
che sei una sorpresa continua? Ora mi diventi anche un filosofo?»
«Con
l’età si corre questo rischio.»
«Ma
tu non sei vecchio.»
«Ho
i miei anni. Ho visto molte cose, ho vissuto molte emozioni e situazioni che mi
hanno fatto capire che spesso guardiamo il mondo in modo parziale o sbagliato.»
«E
questo non ti mette tristezza?»
«No,
nel modo più assoluto. Non ho mai desiderato essere infallibile.»
«Mi
piace questo tuo modo di essere.»
«Ossia.»
«Concreto,
non mi piacciono gli uomini che vivono sulle nuvole» risponde Teresa aprendo il
libro di fantascienza che ha portato con sé.
Vincenzo
le sorride e prende in mano il giornale immergendosi nella lettura. Il viaggio
procede in totale tranquillità pur avendo incontrato una leggera turbolenza
nello spazio aereo serbo.
Ambientazione 3
Pedinamento a Torino
Gli operativi di ARCO iniziano a
seguire Giovanna Faggini, una giornalista che potrebbe sapere molte cose
Un
sensore si accorge che la luce solare del crepuscolo non è più sufficiente a
garantire un’adeguata visibilità a passanti e automobilisti e fa scattare un
relè che accende le luci della città.
Giovanna
Faggini esce proprio in quel momento dal sottopassaggio che collega la stazione
di Porta Nuova a piazza Carlo Felice. Si volta a guardare per un istante la
facciata della stazione ferroviaria, quindi di incammina sotto i portici per
imboccare via Roma. Percorre la strada osservando i negozi di abbigliamento
che, con le loro vetrine, rendono ancora più luminoso il marciapiede. Ogni
tanto si ferma ad ammirare un vestito e immagina di indossarlo.
Malgrado
i suoi cinquant’anni, Giovanna è ancora una donna interessante, la sua figura
giunonica si muove agilmente tra la gente che sta passeggiando, facendo voltare
qualche uomo al suo passaggio. Cammina senza preoccuparsi della gente che la
circonda e non si accorge che due uomini la stanno osservando da quando è scesa
dal treno proveniente da Genova.
L’hanno
seguita nel sottopassaggio adeguando il loro passo al suo, poi hanno proseguito
su via Roma scegliendo il marciapiede opposto a quello percorso dalla giornalista,
e, parlando tra di loro, hanno sempre fatto in modo che uno dei due la potesse
guardare.
«Antonio,
questa è talmente indifferente alla gente che ha intorno che potremmo seguirla
a dieci centimetri di distanza senza paura di essere scoperti.»
«Forse
hai ragione, ma dobbiamo essere attenti. Lei può non accorgersi di noi, ma tu
sei sicuro che nessun poliziotto la stia scortando con discrezione? In fondo è
una giornalista che fa inchieste scomode e non è escluso che abbia ricevuto
minacce di morte.»
«Non
mi sembra di vedere piedipiatti qui intorno.»
«Potrebbero
essere più bravi di noi.»
«Lo
escludo, noi siamo i migliori.»
Spero che gli estratti vi siano piaciuti e che acquisterete uno di questi romanzi.
Ciao ciao,
*Dana*
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