LUOGHI DA SOGNO & AMBIENTI ROMANZESCHI - DALL'ASFALTO ALLE STELLE & U666
Ciao a tutti,
bentornati su Codex Ludus con una nuova tappa del blog tour in collaborazione con Dark Zone.
Questa volta abbiamo ospiti Antonella Malvezzo, con il suo romanzo Dall'asfalto alle stelle, e Fabrizio Fortino con "U-666".
Bando alle ciance e partiamo subito con l'intervista agli autori.
1. Dove è ambientato il tuo romanzo? Perché lo hai scelto?
A.M.: È ambientato in un quartiere popolare che sorge sulle colline di Genova, il Cep. L'ho scelto perché è il luogo dove sono cresciuta. Negli anni novanta era popolato da tantissime famiglie e quindi da molti ragazzi. Abbiamo vissuto la strada, siamo cresciuti insieme, c'erano tanti problemi, ma eravamo molto legati. Penso che ci fosse un grande senso di appartenenza a un luogo, con le sue regole, le sue tradizioni e c'era un legame molto intenso tra i ragazzi. Eravamo una grande famiglia che spesso compensava con le carenze di quella di origine.
F.F.: U-666 è ambientato nel novembre del 1942, nel pieno della seconda guerra mondiale. La scelta del periodo storico non è casuale. Fin da piccolo ho coltivato la passione per il modellismo storico e proprio questa passione mi ha portato ad approfondire quanto avvenne sui campi di battaglia di tutto il mondo. Sono innumerevoli i libri e le pubblicazioni che ho letto e studiato per soddisfare la mia curiosità a riguardo. Scrivere U-666 è stato tanto difficile quanto appagante perché mi ha catapultato ancora una volta in quei tragici, difficili anni.
2. Da cosa è ispirata l’ambientazione?
A.M.: Ho voluto raccontare ciò che eravamo, ciò che oggi forse si è perso, per come si vivono i luoghi e i rapporti. L'abbandono di alcune zone del quartiere tra cui la nostra vecchia scuola che viene citata nei primi capitoli, fa male al cuore. Ho voluto descrivere cosa significhi crescere in un quartiere popolare con i drammi, i primi amori, le amicizie. Ho voluto riportare in vita un'amica scomparsa. Ho desiderato soprattutto raccontare una storia d'amore in cui tutti avrebbero potuto immedesimarsi perché ambientata in una realtà molto simile ad altre città italiane.
F.F.: Mentirei se dicessi che il film Das Boat di Wolfgang Petersen del 1981 non abbia ispirato il mio romanzo. E un film dal grande impatto storico e mostra, in maniera del tutto veritiera, senza troppa fiction, lo spirito e il grande senso dell'onore che animava tutti quei ragazzi che si imbarcavano volontari a bordo dei sommergibili. Per quanto quegli ideali e quelle azioni, ora, possano apparire sbagliate, non posso che nutrire un profondo rispetto per il loro coraggio e integrità morale.
Altro fattore importante nell'ispirazione che ha portato alla stesura di U-666 fu un vecchio articolo di giornale che trattava il ritrovamento di un misterioso sommergibile interamente ricoperto da uno spesso strato di cemento armato. Cosa nascondeva quel sommergibile? Questa domanda ha ispirato la deriva thriller/horror di U-666.
3. Hai mai pensato di scriverlo in un altro tempo o luogo arrivando a cambiare genere al tuo romanzo? (es. ambientazione fantastica, fantascientifica, immaginaria, in un mondo distopico, in quello attuale, ecc)
A.M.: Non sarebbe possibile perché l'ambientazione è il vero protagonista della storia, senza il quale sarebbe potuta esistere. I legami tra i personaggi sono nati perché si faceva parte di un quartiere. “Figli dello stesso destino e della stessa madre disperata.”
F.F.: No, fin dal principio decisi che avrei scritto un romanzo sui sommergibili e ambientarlo in un'altra epoca, che non fosse quella di metà novecento, mi sembrava poco plausibile. C'è da dire che l'ambientazione claustrofobica e una trama che strizza l'occhio al thriller e all'horror, ben si adatta a qualunque epoca e genere.
4. Riesci ad immaginare la tua storia nel passato?
A.M.: La mia storia è ambientata prevalentemente negli anni novanta, ma si sviluppa anche negli anni seguenti.
F.F.: Be sì, è già ambientata nel passato. Se parliamo di un passato ben più remoto, non saprei, probabilmente dovrei rifletterci per bene prima di inventare qualcosa di credibile che possa far apparire un sommergibile durante la battaglia di Trafalgar o di Lepanto.
5. Riesci ad immaginare la tua storia nel futuro?
A.M.: Di uno come Spada ci si potrebbe innamorare anche tra cent'anni...
F.F.: Questo è sicuramente più semplice. U-666 è un thriller claustrofobico che si svolge interamente all'interno di pochi metri quadri di acciaio sommerso nelle profondità dell'oceano atlantico. Il paragone con un'astronave che naviga nello spazio, con a bordo un equipaggio alle prese con qualcosa di inaspettato e terrificante, è fin troppo facile.
6. Tre posti in cui vorresti ambientare i tuoi prossimi libri?
A.M.: Il mio prossimo romanzo è ambientato in
un altro quartiere popolare di Genova detto “la diga”, in futuro mi piacerebbe cambiare completamente ambientazione.
F.F.: Di recente ho visitato l'abbazia di Montecassino. Ho percorso i sentieri che gli alleati hanno tracciato per conquistare quel luogo sacro. Ecco, quella è un'ambientazione che potrebbe fare al caso mio.
Come non citare poi la Miskatonic University e tutto l'universo Lovecraftiano. Ora come ora sembra che non ci si possa definire autori senza all'attivo un libro sul ciclo di Cthulhu… e come dargli torto.
Abbiamo detto tre? Non so, un passo alla volta, la terza sarà il tempo a sceglierla al posto mio.
L'intervista è finita ma restate qui con noi ancora un po'. Ci sono anche gli estratti da leggere!
Estratti da "U-666"
Senza dargli il tempo di assaporare l’aurea mistica di quel luogo, Reinard lo condusse lungo una rampa di scale che portava nella cripta. Un’altra sala circolare, anch’essa con dodici colonne di granito e un soffitto adornato da una grande svastica. Al centro della sala era stato ricavato un pozzo di pietra dove, su un braciere di metallo, ardeva una fiamma di un colore atipico. Questa volta Eno rimase senza fiato. Non era preparato a ciò che vide. Non cercò neanche di chiedersi cosa bruciasse in quel fuoco, lo avvertì subito come qualcosa di non terreno, qualcosa che gli ricordava i fuochi fatui dei racconti.
Ai piedi del braciere, su dodici piedistalli, erano state sistemate delle urne cinerarie, una per ciascuno di essi. L’attenzione di Eno fu catturata da quei singolari recipienti che gli diedero la sensazione che al loro interno vi fosse qualcosa di attivo. Sotto un’onda sonora, che tuttavia non riusciva a percepire, come se la frequenza fosse troppo bassa per l’udito umano, il metallo sembrava vibrare di vita propria. Un ronzio gli riempì le orecchie e la testa si fece leggera. Non seppe spiegarsi cosa gli stava capitando, quale manipolazione della realtà stesse subendo, ma ne fu totalmente rapito. Imprigionato in quella litania silenziosa, Eno sentì le gambe mancargli.
«La terra dei morti. Fa questo effetto le prime volte.» Il ragazzo piegò le labbra all’insù e per la prima volta Eno lo vide sorridere. Si ancorò a quell’immagine per tornare cosciente e padrone di sé.
«In quelle urne sono contenute le ceneri dei nostri soldati più valorosi. Li glorifichiamo in questo modo.» Il giovane alzò un bracco a indicare il braciere al centro della stanza. «Lì mettiamo i loro Totenkopfring, gli anelli a testa di morto. La fiamma li purificherà in modo tale da poter essere assegnati ad altri soldati degni, così che l’essenza del vecchio proprietario supporti in battaglia quello nuovo.»
La strada che conduceva al porto di Saint-Nazaire era costellata da detriti, relitti di auto annerite dalle fiamme, rottami e grovigli di filo spinato. Alcuni grossi cavalli di Frisia ostacolavano il transito ai veicoli appena più grandi di una berlina. Josef fu costretto più di una volta a fermare l’automobile per trovare un punto adatto alla manovra. Percorse tutta la strada che seguiva la linea costiera fino a raggiungere l’ingresso del porto.
La pallida luce del mattino mostrava, già da parecchie centinaia di metri dai bacini di carenaggio, lo scenario di devastazione in cui erano ridotte le strutture portuali. Solo qualche mese prima, al fine di ridurre la capacità di manovra della Marina tedesca nell’Atlantico, gli inglesi avevano pianificato un’operazione suicida denominata Operazine Chariot. Il risultato di quell’incursione era ben visibile agli occhi di Josef. Dovunque guardasse, non vedeva altro che rovine. Edifici diroccati dall’azione congiunta dei bombardieri inglesi e dei commandos e i crateri delle bombe che punteggiavano la costa come grandi pustole in cui la nebbia ristagnava come minestra rafferma. Un cane solitario vagava tra le cataste di ferro addossate a una gru piegata dall’esplosivo ad alto potenziale.
Salirono in fila indiana sulla passerella traballante mettendo piede sul pagliolato della coperta, dove erano ancora stipati alla rinfusa parabordi, cime, sacchi, scatole contenenti lattine e materiali vari. Dal boccaporto di prua, due marinai passavano buste di carta con delle pagnotte appena sfornate a braccia invisibili. Una leggera condensa bianca fuoriusciva dal boccaporto e dalle bocche degli uomini quando i bagliori delle saldatrici li illuminavano in controluce.
Il gruppo con in testa il primo ufficiale Hollstein salì i pioli umidi e scivolosi che si arrampicavano sulla torretta e, una volta lassù, al riparo della plancia, attraverso il boccaporto stagno, discese all’interno del sommergibile. Una ripida scaletta li introdusse nel ventre della balena, dove una confusione incredibile regnava frenetica.
Un via vai continuo di uomini rendeva difficile il normale camminare anche a causa dello scarso spazio a disposizione. La camera di manovra, l’angusto locale di tre metri per quasi quattro e mezzo in cui discesero, era il centro nevralgico del sommergibile. Uno spazio ristretto tagliato a metà dal pozzetto d’acciaio del periscopio.
Non appena vi mise piede, Josef si sentì rinvigorito. I ventilatori ronzavano piano e l’aria puzzava di cavoli marci e nafta, tuttavia, si sentì di nuovo a casa. Quell’odore era poca cosa se paragonato a quello della biancheria che avrebbero indossato al ritorno.
L’aria fresca del mattino si rivelò un toccasana per la sua mente annebbiata. Il cielo era un immenso dipinto a olio di Caspar Friedrich. Una luce turchese diluiva le colorazioni rossastre che sembravano volersi sciogliere sull’acqua nel punto in cui la sfera del sole, che sorgeva lenta a oriente, faceva capolino dall’orizzonte lontano.
Tutti i colori delle fiamme s’insinuarono tra le nuvole color tortora punteggiandole di magenta, rosa e violetto. Con la stessa velocità con cui le fiamme erano schizzate in cielo, piano piano si placarono quando il sole salì sopra il livello del mare. Le nuvole, ora inzuppate di color rosa pastello, mantennero ancora qualche istante quella tinta, poi tornarono a essere una lontana cortina grigia. I riflessi indugiarono sul freddo metallo della poppa, finché l’ultima scintilla non esplose sul tagliareti di prua per poi scomparire del tutto.
Estratti da "Dall'asfalto alle stelle"
1)
Risalirono le strade del quartiere, il motore al massimo. In
alto, sopra tutto il cemento, l’aria diventava più fresca.
«Siamo arrivati.»
«Ho capito, sei un pazzo omicida, vuoi uccidermi a
coltellate e seppellire il mio corpo.»
«In realtà, vorrei fare qualcos’altro al tuo corpo»
mormorò a voce bassa.
Ambra sorrise facendo finta di non sentire.
Le prese la mano: «Vieni, dai, scema».
Camminarono per qualche
minuto fino a una radura posta su un piccolo promontorio, sotto le luci
lontane, il panorama vivo della città. Cosa facevano i ragazzi laggiù? Erano
stati adottati anche loro dalla strada o avevano dei genitori non troppo
incasinati, che si occupavano di loro? Da lassù potevano scorgere tutto il
quartiere coi suoi palazzi scuri e imponenti che parevano vegliare sul resto
della città. Da lontano non sembravano nemmeno tanto minacciosi, soprattutto
ora che il silenzio della sera avvolgeva ogni cosa e
chetava tutti gli animi.
«È incredibile, sembra tutto così piccolo da
quassù, non si sente urlare nessuno dal balcone, non si vede nessuno sguardo
incazzato o spento, non ci sono droghe, nessuno si prende a botte, non ci sono
le bollette da pagare o genitori che litigano. C’è solo il nostro quartiere
disteso sopra queste colline, con la sua orgogliosa pretesa di essere il luogo
più vicino al cielo di tutta la città.»
2) Alle
nove lo sentì arrivare e le si aggrovigliò lo stomaco dall’agitazione, mentre
scendeva le scale. Sentì sbattere una porta, quelli del quattro stavano
litigando di nuovo e il padre aveva sbattuto fuori il figlio. Avrebbe dormito
di nuovo in cantina, tra i muri scrostati, gli scarafaggi e l’odore di muffa.
Ma adesso aveva appuntamento con Spada, non esisteva altro.
Il quartiere la sera sembrava assopirsi, a
quell’ora si abbassavano le voci e i motorini rallentavano in un clima meno
caotico rispetto al sabato sera, quando si trasgrediva sempre qualche regola.
Era la serata delle confidenze, dei segreti da raccontare sulle panchine
sottovoce e sotto gli androni dei palazzi. Spada era sul motorino, la scocca
nera fiammante si intonava ai suoi capelli lucidi. Il cuore di Ambra impennò
come se stessero già correndo in moto.
3)Una volta fuori, Ambra iniziò a singhiozzare, le lacrime scesero come macigni. Corse giù per le scale. Voleva scappare, evadere, non pensare alla delusione, alla rabbia che sentiva verso quelle mura, quei palazzi, dove tutti condividevano gli stessi problemi. Crescere senza una vacanza, una cena in pizzeria o un giro in centro. Restare chiusa dentro una cinghia di cemento armato che vuole soffocarti. Crescere schivando palloni nei cortili e le siringhe ammucchiate nelle aiuole. Tutto quello non era giusto, non era normale. Francesca, invece, aveva tutto: una casa elegante e un padre che lavorava per darle un futuro. Suo padre, invece, strappava a brandelli la sua vita in ricordo del passato. Continuò a correre a perdifiato, finché esausta sprofondò sulla panchina vicino alla fermata dell’autobus. La solitudine durò poco, però: dopo qualche minuto vide dei fari e un motorino rallentare.
Anche per oggi abbiamo terminato. Fateci sapere con un commento qui sotto se gli estratti vi sono piaciuti e soprattutto se acquisterete questi romanzi.
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Ciao ciao,
*Dana*
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