Luoghi da sogno & Ambienti romanzeschi
Due Autrici con Due Interviste
Ciao a tutti! Bentornati su Codex Ludus nella rubrica Luoghi da sogno & Ambienti romanzeschi! Come state? Fa freddo dalle vostre parti? Qui si. È il caso di mettersi davanti al camino a scaldarsi o di prendere una coperta... ma soprattutto è il momento giusto per leggere le interviste a Debora Mayfair e a Melissa Pratelli.
Approfittate del tepore per leggere poi gli estratti dai loro romanzi, ne varrà la pena.
Buona lettura!
Dove è ambientato il tuo romanzo? Perché lo hai scelto?
D.M. È ambientato in Italia, un una cittadina che si affaccia sul mare. Non c’è una motivazione particolare… sentivo che doveva essere così, e così è stato ^^
M.P. Il romanzo è ambientato in Scozia, tra Edimburgo e Killin un piccolo paesino situato nell’area dei monti Grampiani, nelle Highlands centrali. La maggior parte dell’azione si svolge alla St. George, un prestigioso collegio che i protagonisti frequentano, e nella foresta che la circonda. Ho scelto l’ambientazione scozzese perché adoro la Scozia e le sue tradizioni, i miti e le leggende celtiche. L’intera trama si basa proprio sulla mitologia celtica, perciò non avrei potuto scegliere un’ambientazione differente.
Da cosa è ispirata l’ambientazione?
D.M. Ho cercato di inserire luoghi, sia interni che esterni, visti e piaciuti. Per essere più specifica nei dettagli, e per inserire momenti di vita vissuta all’interno del romanzo, i quali mi tornano in mente rileggendolo.
M.P. Come dicevo, è ispirata dalla mitologia celtica. La storia della protagonista è strettamente connessa con le divinità celebrate dalle popolazioni che abitavano la Scozia nei tempi antichi. Per i temi trattati mi serviva un luogo ricco di tradizioni, un luogo “magico”, immerso nella natura.
Hai mai pensato di scriverlo in un altro tempo o luogo arrivando a cambiare genere al tuo romanzo? (es. ambientazione fantastica, fantascientifica, immaginaria, in un mondo distopico, in quello attuale, ecc)
D.M. Non ci ho mai pensato, ma credo che la trama, cambiando qualche piccolo dettaglio, reggerebbe benissimo in qualsiasi periodo storico, mondo o futuro distopico.
M.P. Onestamente no. Cambiare luogo avrebbe significato cambiare di molto la trama o inserirla in un contesto che non le appartiene. Per quanto riguarda il tempo, forse avrei potuto ambientarlo nel passato o anche nel futuro senza sconvolgere di troppo la trama, ma in verità non ci ho mai pensato.
Riesci ad immaginare la tua storia nel passato?
D.M. Certamente: mi stavo immaginando i personaggi in abiti seicenteschi da quando ho letto la precedente domanda.
M.P. Sì, perché no. Ci sono alcune scene del romanzo ambientate in un’epoca passata!
Riesci ad immaginare la tua storia nel futuro?
D.M. Sì, perché mi piacciono le sfide… ma al momento mi sento più legata al presente e al passato.
M.P. Immaginarla nel futuro mi riesce molto difficile, invece. Non sarebbe impossibile, ma la preferisco nel presente.
Tre posti in cui vorresti ambientare i tuoi prossimi libri?
D.M. l prossimo volume di questa serie sarà ambientato all’interno della foresta di ferro, in una sorta di futuro distopico. Sto scrivendo un romanzo ambientato a New York e un altro in cui i personaggi abitano a Étretat, in Normandia.
M.P. Mi piacerebbe ambientarne uno su un’isola, anche se non so ancora di preciso quale. Vorrei anche provare l’Irlanda, o magari tornare in Inghilterra.
Ora, dopo l'intervista, facciamo una piccola pausa.
Questa qui sotto è la copertina del libro di Debora, cosa ne pensate?
Torniamo con la lettura!
Scosto la finta parete sul fondo della cabina armadio fino a rivelare l’ingresso della mia camera anti-panico personale, inserisco la tessera magnetica ed entro.
Mi chiudo la porta alle spalle e sento scattare la serratura temporizzata: l’ho fatta installare io stessa per tenermi a bada nei momenti in cui Sköll prende il sopravvento, mi costringerà a stare qui dentro per i prossimi sessanta minuti. Di solito bastano per riprendere il controllo sul mio corpo senza causare danni collaterali.
Soprappensiero fisso le lamiere balistiche e i serramenti a punti di chiusura multipli, scorro con le dita sui cardini.
E pensare che gli uomini che l’hanno creata si sono messi a ridere, mi hanno chiesto se per caso non stessi esagerando, in fondo chi avrei dovuto nasconderci qui dentro?
No, non mi sono assolutamente fatta prendere la mano. Nessuno ha idea di ciò di cui posso essere capace.
In tutti questi mesi passati in Islanda ho avvertito la mancanza della mia camera anti-panico, del senso di libertà che mi dona perdermi nella musica che accompagna i passi di danza classica. Me ne accorgo solo ora, mentre accarezzo con i piedi nudi il parquet listonato e mi dirigo verso l’unica poltrona presente, dove appoggio la borsa con il necessario.
Ho appena raggiunto la spiaggia e poso la chitarra sulla sabbia, sono venuto per trovare un po’ di tranquillità, ma non faccio in tempo a sedermi che mi invade un senso di inquietudine.
Mi chiedo cosa ci trovi Bianca di tanto speciale in questa cittadina. In fondo potrebbe vivere dove vuole, eppure ha deciso di tornare, mettere le radici e far crescere qui i suoi figli.
Anche a Margot sembra piacere questo posto, ma secondo me è più legata all’idea di rimanere accanto a Bianca e di allenarsi con Matthew, non si è arresa al fatto che lui non sembri filarla nemmeno di striscio.
Io non so cosa farò, forse tornerò a Parigi fra qualche mese. Forse no.
Per il momento mi fa comodo rimanere a dormire a casa di Matthew e continuare a suonare con Margie, in fondo non mi rimane altro da fare. Sfioro il pendente che ho al collo, rigiro lo scarabeo blu tra le dita. Che ne penserebbe Marc? Avrebbe creduto al fatto che la sua sorellina stia diventando una vera Cacciatrice? Ricordo tutti i suoi dubbi a riguardo, l’ha sempre trattata come una ragazzina di vetro, eppure gli basterebbe guardarla ora per ricredersi. Sta diventando forte.
Un rumore mi distrae, allarmandomi.
Mi tranquillizzo subito: escludendo la presenza di due corvi che battibeccano tra loro il bagnasciuga è deserto, sta imbrunendo.
Mi siedo, godendomi il silenzio e cercando di rilassarmi ascoltando nient’altro che il rumore delle onde che si infrangono sugli scogli. Adoro questa spiaggia, è stretta e lunga, e avere attorno una scogliera alta decine di metri che cade a strapiombo nel mare è una visione fantastica. Se avessi con me il cellulare farei una fotografia, ma l’ho lasciato a casa: non mi piace sapere di essere facilmente rintracciabile, mi sento più libero quando sono senza. Questo posto ha tutto quello che mi serve per comporre della buona musica: pace e silenzio immersi nella natura.
Se solo quei due corvi smettessero di gracchiare stonati.
Sköll mi distrae attirando l’attenzione, proietta nella mia testa le immagini di quando ho divorato quell’animale, nella foresta di ferro, prima di essere aiutata da Hel. Apro lo sportello dell’auto e inspiro aria fredda, mi aiuta a combattere il giramento di testa e la nausea.
Se torni indietro forse ti risparmio il resto.
Esco dall’auto sbattendo la portiera e vengo investita da una folata di vento e acqua gelida che mi scioglie la coda. I capelli mi sferzano il viso e le spalle, ma non indietreggio, continuo a camminare, abbracciando la mia tempesta. Ogni fulmine mi dà la forza per andare avanti.
No. Io non sono Venere, non lo sono mai stata.
Prendo la rincorsa, correndo per qualche metro prima di trattenere il fiato e saltare nel vuoto.
Io sono un fottuto buco nero!
Cado a peso morto per qualche decina di metri, durante i quali mi sento finalmente libera di scegliere.
Me la pagherai, lo sai.
«Lo so», dico a voce alta, sorrido appena prima di impattare sulla superficie dell’acqua.
Senza niente a proteggermi, mi infrango sullo specchio d’acqua in tempesta, trovandomi a mio agio con la sensazione di bruciore che mi graffia il corpo.
La casa di Angus era come me la ricordavo: un cottage immerso nella natura, con pareti di pietra grezza e un tetto spiovente ricoperto di rampicanti. La luce del giorno stava già cominciando a scemare e il cielo era solcato da nuvole grigio scuro.
Dalle finestre filtrava una luce calda e accogliente e un filo di fumo serpeggiava fuori dal comignolo. Gli altri dovevano essere già arrivati. Mi sentii nervosa all’idea di sfilare di fronte a un gruppo di sconosciuti, ma feci un respiro profondo e seguii Sean oltre la porta.
Entrammo nella cucina, in cui avevo passato più di un mese l’anno precedente, e trovammo Angus, intento a mettere un bollitore sul fuoco. Tre persone erano sedute sul divano.
Continuavo a correre come una forsennata, senza alcuna idea di dove andare. Era giorno, eppure le chiome fitte degli alberi non lasciavano filtrare molta luce, rendendo il mio inseguimento ancora più difficile. Schivai una radice che emergeva dal terreno e, mentre cercavo di recuperare l’equilibrio, presi in pieno un rovo che scendeva alla mia destra, graffiandomi una guancia. Soffocai un’imprecazione e, con un grido frustrato, piantai le mani al suolo e le aprii di scatto verso l’esterno, lasciando fuoriuscire una scarica di energia. L’elemento terra rispose subito e tutto ciò che ingombrava il mio passaggio – alberi, fronde, rovi e radici – si spostò, creando un sentiero attraverso il bosco che mi permise di procedere con maggiore rapidità.
Udii un grido e poi alcuni rumori attutiti e cominciai a correre verso quella direzione, continuando a spostare con i poteri tutto ciò che mi ostacolava.
Sbucai fuori dagli alberi, sul ciglio di un dirupo.
Il locale si presentava bene: era una struttura a pianta circolare su due piani, rivestita di pannelli a specchio che riflettevano le luci esterne, illuminando lo spazio che circondava il parcheggio. La cosa più assurda di quell’edificio però, era senza dubbio il fatto che fosse come una palafitta, costruita su un lago di medie dimensioni illuminato tutt’intorno da lampioncini colorati.
Per raggiungere l’ingresso del locale, bisognava percorrere un pontile in legno sovrastato da una serie di piante rampicanti, che creavano un arco sopra di esso, alle quali erano state intrecciate delle luci bianche. L’insieme era molto suggestivo, le lucette e i lampioni colorati si riflettevano sulla superficie calma dell’acqua, creando un effetto simile a un quadro di Van Gogh.
D.M. È ambientato in Italia, un una cittadina che si affaccia sul mare. Non c’è una motivazione particolare… sentivo che doveva essere così, e così è stato ^^
M.P. Il romanzo è ambientato in Scozia, tra Edimburgo e Killin un piccolo paesino situato nell’area dei monti Grampiani, nelle Highlands centrali. La maggior parte dell’azione si svolge alla St. George, un prestigioso collegio che i protagonisti frequentano, e nella foresta che la circonda. Ho scelto l’ambientazione scozzese perché adoro la Scozia e le sue tradizioni, i miti e le leggende celtiche. L’intera trama si basa proprio sulla mitologia celtica, perciò non avrei potuto scegliere un’ambientazione differente.
Da cosa è ispirata l’ambientazione?
D.M. Ho cercato di inserire luoghi, sia interni che esterni, visti e piaciuti. Per essere più specifica nei dettagli, e per inserire momenti di vita vissuta all’interno del romanzo, i quali mi tornano in mente rileggendolo.
M.P. Come dicevo, è ispirata dalla mitologia celtica. La storia della protagonista è strettamente connessa con le divinità celebrate dalle popolazioni che abitavano la Scozia nei tempi antichi. Per i temi trattati mi serviva un luogo ricco di tradizioni, un luogo “magico”, immerso nella natura.
Hai mai pensato di scriverlo in un altro tempo o luogo arrivando a cambiare genere al tuo romanzo? (es. ambientazione fantastica, fantascientifica, immaginaria, in un mondo distopico, in quello attuale, ecc)
D.M. Non ci ho mai pensato, ma credo che la trama, cambiando qualche piccolo dettaglio, reggerebbe benissimo in qualsiasi periodo storico, mondo o futuro distopico.
M.P. Onestamente no. Cambiare luogo avrebbe significato cambiare di molto la trama o inserirla in un contesto che non le appartiene. Per quanto riguarda il tempo, forse avrei potuto ambientarlo nel passato o anche nel futuro senza sconvolgere di troppo la trama, ma in verità non ci ho mai pensato.
Riesci ad immaginare la tua storia nel passato?
D.M. Certamente: mi stavo immaginando i personaggi in abiti seicenteschi da quando ho letto la precedente domanda.
M.P. Sì, perché no. Ci sono alcune scene del romanzo ambientate in un’epoca passata!
Riesci ad immaginare la tua storia nel futuro?
D.M. Sì, perché mi piacciono le sfide… ma al momento mi sento più legata al presente e al passato.
M.P. Immaginarla nel futuro mi riesce molto difficile, invece. Non sarebbe impossibile, ma la preferisco nel presente.
Tre posti in cui vorresti ambientare i tuoi prossimi libri?
D.M. l prossimo volume di questa serie sarà ambientato all’interno della foresta di ferro, in una sorta di futuro distopico. Sto scrivendo un romanzo ambientato a New York e un altro in cui i personaggi abitano a Étretat, in Normandia.
M.P. Mi piacerebbe ambientarne uno su un’isola, anche se non so ancora di preciso quale. Vorrei anche provare l’Irlanda, o magari tornare in Inghilterra.
Ora, dopo l'intervista, facciamo una piccola pausa.
Questa qui sotto è la copertina del libro di Debora, cosa ne pensate?
Torniamo con la lettura!
I
Estratto
Scosto la finta parete sul fondo della cabina armadio fino a rivelare l’ingresso della mia camera anti-panico personale, inserisco la tessera magnetica ed entro.
Mi chiudo la porta alle spalle e sento scattare la serratura temporizzata: l’ho fatta installare io stessa per tenermi a bada nei momenti in cui Sköll prende il sopravvento, mi costringerà a stare qui dentro per i prossimi sessanta minuti. Di solito bastano per riprendere il controllo sul mio corpo senza causare danni collaterali.
Soprappensiero fisso le lamiere balistiche e i serramenti a punti di chiusura multipli, scorro con le dita sui cardini.
E pensare che gli uomini che l’hanno creata si sono messi a ridere, mi hanno chiesto se per caso non stessi esagerando, in fondo chi avrei dovuto nasconderci qui dentro?
No, non mi sono assolutamente fatta prendere la mano. Nessuno ha idea di ciò di cui posso essere capace.
In tutti questi mesi passati in Islanda ho avvertito la mancanza della mia camera anti-panico, del senso di libertà che mi dona perdermi nella musica che accompagna i passi di danza classica. Me ne accorgo solo ora, mentre accarezzo con i piedi nudi il parquet listonato e mi dirigo verso l’unica poltrona presente, dove appoggio la borsa con il necessario.
II
Estratto
Mi chiedo cosa ci trovi Bianca di tanto speciale in questa cittadina. In fondo potrebbe vivere dove vuole, eppure ha deciso di tornare, mettere le radici e far crescere qui i suoi figli.
Anche a Margot sembra piacere questo posto, ma secondo me è più legata all’idea di rimanere accanto a Bianca e di allenarsi con Matthew, non si è arresa al fatto che lui non sembri filarla nemmeno di striscio.
Io non so cosa farò, forse tornerò a Parigi fra qualche mese. Forse no.
Per il momento mi fa comodo rimanere a dormire a casa di Matthew e continuare a suonare con Margie, in fondo non mi rimane altro da fare. Sfioro il pendente che ho al collo, rigiro lo scarabeo blu tra le dita. Che ne penserebbe Marc? Avrebbe creduto al fatto che la sua sorellina stia diventando una vera Cacciatrice? Ricordo tutti i suoi dubbi a riguardo, l’ha sempre trattata come una ragazzina di vetro, eppure gli basterebbe guardarla ora per ricredersi. Sta diventando forte.
Un rumore mi distrae, allarmandomi.
Mi tranquillizzo subito: escludendo la presenza di due corvi che battibeccano tra loro il bagnasciuga è deserto, sta imbrunendo.
Mi siedo, godendomi il silenzio e cercando di rilassarmi ascoltando nient’altro che il rumore delle onde che si infrangono sugli scogli. Adoro questa spiaggia, è stretta e lunga, e avere attorno una scogliera alta decine di metri che cade a strapiombo nel mare è una visione fantastica. Se avessi con me il cellulare farei una fotografia, ma l’ho lasciato a casa: non mi piace sapere di essere facilmente rintracciabile, mi sento più libero quando sono senza. Questo posto ha tutto quello che mi serve per comporre della buona musica: pace e silenzio immersi nella natura.
Se solo quei due corvi smettessero di gracchiare stonati.
III
Estratto
Se torni indietro forse ti risparmio il resto.
Esco dall’auto sbattendo la portiera e vengo investita da una folata di vento e acqua gelida che mi scioglie la coda. I capelli mi sferzano il viso e le spalle, ma non indietreggio, continuo a camminare, abbracciando la mia tempesta. Ogni fulmine mi dà la forza per andare avanti.
No. Io non sono Venere, non lo sono mai stata.
Prendo la rincorsa, correndo per qualche metro prima di trattenere il fiato e saltare nel vuoto.
Io sono un fottuto buco nero!
Cado a peso morto per qualche decina di metri, durante i quali mi sento finalmente libera di scegliere.
Me la pagherai, lo sai.
«Lo so», dico a voce alta, sorrido appena prima di impattare sulla superficie dell’acqua.
Senza niente a proteggermi, mi infrango sullo specchio d’acqua in tempesta, trovandomi a mio agio con la sensazione di bruciore che mi graffia il corpo.
Ora invece è il turno di Melissa e del suo romanzo
I
Estratto
La casa di Angus era come me la ricordavo: un cottage immerso nella natura, con pareti di pietra grezza e un tetto spiovente ricoperto di rampicanti. La luce del giorno stava già cominciando a scemare e il cielo era solcato da nuvole grigio scuro.
Dalle finestre filtrava una luce calda e accogliente e un filo di fumo serpeggiava fuori dal comignolo. Gli altri dovevano essere già arrivati. Mi sentii nervosa all’idea di sfilare di fronte a un gruppo di sconosciuti, ma feci un respiro profondo e seguii Sean oltre la porta.
Entrammo nella cucina, in cui avevo passato più di un mese l’anno precedente, e trovammo Angus, intento a mettere un bollitore sul fuoco. Tre persone erano sedute sul divano.
II
Estratto
Continuavo a correre come una forsennata, senza alcuna idea di dove andare. Era giorno, eppure le chiome fitte degli alberi non lasciavano filtrare molta luce, rendendo il mio inseguimento ancora più difficile. Schivai una radice che emergeva dal terreno e, mentre cercavo di recuperare l’equilibrio, presi in pieno un rovo che scendeva alla mia destra, graffiandomi una guancia. Soffocai un’imprecazione e, con un grido frustrato, piantai le mani al suolo e le aprii di scatto verso l’esterno, lasciando fuoriuscire una scarica di energia. L’elemento terra rispose subito e tutto ciò che ingombrava il mio passaggio – alberi, fronde, rovi e radici – si spostò, creando un sentiero attraverso il bosco che mi permise di procedere con maggiore rapidità.
Udii un grido e poi alcuni rumori attutiti e cominciai a correre verso quella direzione, continuando a spostare con i poteri tutto ciò che mi ostacolava.
Sbucai fuori dagli alberi, sul ciglio di un dirupo.
III
Estratto
Il locale si presentava bene: era una struttura a pianta circolare su due piani, rivestita di pannelli a specchio che riflettevano le luci esterne, illuminando lo spazio che circondava il parcheggio. La cosa più assurda di quell’edificio però, era senza dubbio il fatto che fosse come una palafitta, costruita su un lago di medie dimensioni illuminato tutt’intorno da lampioncini colorati.
Per raggiungere l’ingresso del locale, bisognava percorrere un pontile in legno sovrastato da una serie di piante rampicanti, che creavano un arco sopra di esso, alle quali erano state intrecciate delle luci bianche. L’insieme era molto suggestivo, le lucette e i lampioni colorati si riflettevano sulla superficie calma dell’acqua, creando un effetto simile a un quadro di Van Gogh.
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