domenica 28 aprile 2019

Luoghi da sogno & Ambienti romanzeschi Quadrupla intervista ma diciamo Tripla

Luoghi da sogno & Ambienti romanzeschi
Quadrupla intervista ma diciamo Tripla 



Ciao a tutti! Bentornati su Codex Ludus nella nostra rubrica Luoghi da sogno & Ambienti romanzeschi. Oggi abbiamo un appuntamento con quattro autrici e le loro tre rispettive opere: Miriam Palombi con "Le Ossa dei Morti", Federica Soprani e Vittoria Corella con "Victorian Solstice" ed infine Daisy Franchetto con "Jerome La Crus, Il Mezzovivo"
Per capire chi sta rispondendo alle domande dell'intervista abbiamo ovviamente messo il nome, oltre che un colore per ciascuna.

Non dimenticate gli estratti dai loro libri dopo le loro risposte!


Dove è ambientato il tuo romanzo? Perché lo hai scelto?

Miriam Palombi: L’ambientazione de Le Ossa dei Morti è legate alla tradizione del genere. Sulle pendici del lago Rivonero è arroccata Villa Biolcati, per tutti la Casa Nera. Un luogo spettrale e angosciante.

Vittoria Corella: Londra, Impero Britannico, anno di grazia 1890. Sono filobritannica per formazione e indole. Vittoriana inside.
Federica Soprani: Inghilterra di fine 800. Un periodo ricco di contraddizioni e contrasti insanabile, Il Crepuscolo di un’epoca. La fine dell'innocenza del mondo.

Daisy Franchetto: Jerome La Crus – Il Mezzovivo è ambientato principalmente in una Dimensione Errante che si chiama Cirklo Tempo, una sfera delle proporzioni di un piccolo pianeta che ruota intorno a una struttura molto più ampia: l’Ovoide delle Dimensioni. Durante la narrazione ci spostiamo anche nell’Ovoide e ne esploriamo alcuni settori. La scelta di questa ambientazione è dettata dalla filosofia che sostiene tutto il romanzo, l’idea di mettere in scena un’avventura che sia la rappresentazione della nostra psiche. Esplorando questi luoghi fantastici, esploriamo noi stessi.


Da cosa è ispirata l’ambientazione?

Miriam Palombi: I luoghi citati non sono realmente esistenti, hanno nomi di fantasia che richiamano, però, a una certa provincia italiana, dove ancora sopravvivono superstizioni e dicerie.

Vittoria Corella: Da un milione di letture fatte per dovere, diletto, studio, curiosità. 
Federica Soprani: letture, film, serie TV. Nonostante una breve parentesi Bonapartista sono sempre stata innamorata dell'impero britannico.

Daisy Franchetto: L’Ovoide delle Dimensioni si ispira a uno schema che rappresenta la psiche umana utilizzato in Psicosintesi. L’ho rielaborato e sviluppato, ma la struttura resta la stessa. Cirklo Tempo invece è totalmente frutto della mia fantasia, ma i tre animali mastodontici che la compongono sono stati scelti per rappresentare Passato, Presente e Futuro. Inoltre, volevo che le tre creature richiamassero anche i tre elementi: acqua, terra e aria, anche questi con un preciso richiamo a particolari emozioni umane.


Hai mai pensato di scriverlo in un altro tempo o luogo arrivando a cambiare genere al tuo romanzo? (es. ambientazione fantastica, fantascientifica, immaginaria, in un mondo distopico, in quello attuale, ecc)

Miriam Palombi: No, avevo chiara fin da subito le atmosfere cupe che volevo ricreare.

Vittoria Corella: Steampunk retrofuturista farebbe la sua porca figura.
Federica Soprani: difficile immaginare questa storia e questi personaggi calati in un contesto storico e sociale diverso. L'ambientazione ha davvero un ruolo fondamentale in quello che abbiamo scritto. Anche per me l'unica possibile alternativa sarebbe una distopia o uno Steampunk. 

Daisy Franchetto: No, l’ambientazione e il tempo sono la base su cui poggia la trama, se li modificassi, dovrei cambiare totalmente storia.


Riesci ad immaginare la tua storia nel passato?

Miriam Palombi: In realtà la vicenda si dipana nei secoli. Seguiremo le storie di tutti quelli che sono vissuti tra quelle mura.

Vittoria Corella: Sedicesimo secolo, Guerra delle due rose. Tanto per poter scrivere di Riccardo III come Philippa Gregory. 
Federica Soprani: Non sarebbe male come dramma elisabettiano. Gli ingredienti ci sono tutte e alla fine i personaggi potrebbero essere declinati anche per quell'epoca, con le dovute differenze. A Jericho sarebbe piaciuto moltissimo frequentare Kit Marlowe.

Daisy Franchetto: No, la trama è ancorata al suo tempo ma, curiosamente, nel mio romanzo il tema del viaggio nel Tempo è ampiamente trattato, quindi ci spostiamo continuamente nel passato e nel futuro.


Riesci ad immaginare la tua storia nel futuro?

Miriam Palombi: Non credo.

Vittoria Corella: In una galassia lontana lontana tutto è possibile.
Federica Soprani: Perché no? 

Daisy Franchetto: Un po’ come dicevo qua sopra, Passato e Futuro si fondono continuamente e si compenetrano.


Tre posti in cui vorresti ambientare i tuoi prossimi libri?

Miriam Palombi: Nulla è ancora deciso, l’unica cosa certa è che saranno luoghi colmi di mistero e leggende.

Vittoria Corella: India. India. India.
Federica Soprani: Francia del '600. Luthais (avete presente la Midian di Clive Barker? Ecco, però molto, molto più grande. E con molti più mostri). Parma. 

Daisy Franchetto: Una cittadina dell’America,  l’India e il Giappone.



Ora parliamo di "LE OSSA DEI MORTI" il romanzo horror di Miriam Palombi, pronti per la lettura?

Avete visto la copertina?

1)

Era apparsa sotto la botola di legno. Terra nera e grassa, intrisa d’acqua, coperta da un primo strato di terriccio arido come cuoio lasciato a essiccare. Franava in zolle, rotolando nel fondo del cratere, lasciandosi dietro colpi sordi come rintocchi di campana a morto.
Le pareti compatte di quella sorta di cono rovesciato avevano cominciato a cedere.
Nella sua mente allucinata si affacciò l’immagine di un Inferno dantesco. Gironi infestati da anime tormentate e, al centro, Lucifero abbandonato in una posizione oscena.


2)

Acqua ferma. Conservava ogni cosa immutabile, anche i ricordi. Quella pozza dai riflessi verdastri, tenuta stretta tra le colline, era la bocca di un cratere, un accesso alle profondità sotterranee ricolmo di acqua paludosa.
Eirik fece correre lo sguardo all’orizzonte, dove una bruma impalpabile saliva verso il cielo. In alcuni punti il sole riusciva a filtrare attraverso quella lastra di acciaio, creando un brulichio soffuso sulla superficie dell’acqua.
Ovunque, tranne che in un punto preciso. Lì sembrava che una grossa ala di uccello si fosse distesa. L’arenile, la cintura di canneti e la vegetazione contorta di salici e oleandri, apparivano diversi, oscuri. Era come se una tetra e primitiva desolazione velasse ogni cosa, interrompendo l’armonia del paesaggio.
Eirik sapeva che poco più in alto, sul crinale scosceso, c’era Villa Biolcati.
La Casa Nera.


3)

L’acqua saliva dalle pareti, tingendo la pietra di bianco salnitro. Trasudava dal terreno come un lento avanzare di marea. Era acqua putrida, stagnante.
L’odore che ne scaturiva era la cosa peggiore. Forte e penetrante, disgustoso.
Marcus si piegò sulle ginocchia fino a sfiorare il suolo, le dita dalle unghie curate toccarono la pietra scivolosa. Era inutile, qualsiasi cosa provassero a fare, non riuscivano ad arginare quel fenomeno. La stanza, priva di finestre, era ingombra di tutto ciò che serviva in una dispensa; cibo, masserizie, scorte, tutto stipato in casse di legno. Ben presto avrebbero dovuto spostare ogni cosa.
Quel fetore, dal seminterrato dove c’era la bocca di fornace, sembrava arrampicarsi su per le scale come un’esalazione spettrale. Riusciva a passare tra le fessure del pavimento irregolare, raggiungendo i piani superiori, saturando l’aria.



Ora è il momento del libro a quattro-mani di Federica Soprani e Vittoria Corella, come prima potete ammirare la copertina qui sotto.

Qui potete ammirare Victorian Solstice



1

Il Pozzo di carne di Macklin Street era un luogo che non c’era.
Era ubicato a nord del Tamigi, tra strade che avevano nomi altisonanti e regali. Great Queen Street, Kingsway, High Holborn.
Ma non c’era nulla di alto, nulla di regale, nel Pozzo di carne.
Era un luogo che non era un luogo, al crocevia di strade con nomi di re, una zona d’ombra in pieno sole, una pustola purulenta sul seno immacolato di una regina vergine. In un attimo si passava dalla rassicurante linearità di Great Queen Street, a un mondo fatto di oscurità e decadimento, corruzione e veleno. Quando la Grande Peste si abbatté su Londra, il Pozzo di carne fu usato come fossa comune a cielo aperto. Ci si buttavano dentro i vivi insieme ai morti. Tanto, se ti eri preso la peste saresti morto comunque, era solo questione di tempo. I corpi venivano cosparsi di calce e franchincenso, per tentare
di arginare gli effluvi mefitici. Ci pensò il Grande Incendio, poi, a risolvere il problema. Distrusse quasi interamente la City, ma sanò la città dal contagio. Niente era meglio del fuoco per dare una bella ripulita. Il Pozzo bruciò per giorni, dando l’impressione che una fornace infernale si fosse spalancata
nel cuore della città. In seguito, dopo la bonifica e la ricostruzione, la zona del Pozzo di carne venne trasformata in mattatoio. Sembrava una scelta appropriata. Ora, anche quell’utilizzo era decaduto. C’erano i topi, a Macklin Street, e tutti i parassiti che a essi si accompagnavano. Gli uffici di Sanità avevano chiuso la baracca, messo i sigilli e buonanotte. Di nuovo era stata sparsa la calce sulle porte da
cui un tempo erano entrate le bestie, i pavimenti impregnati di duecento anni di sangue.
Ormai a Macklin Street c’erano solo rifiuti, puttane malate e mendicanti, che sembravano usciti da un trattato medievale sul decadimento. Nessuno era sano, nessuno era normale, laggiù.
La macelleria di Tristan Mercyful era l’unico negozio della strada. Aveva una vetrina che dava sull’esterno, sebbene fosse sempre chiusa da tende rosso scuro, e una bella insegna di legno verniciato, che recitava a caratteri squillanti 
Mercyful and sons butcher’s shop.
Game, beef, veal, pork.
Quality never surpassed and rarely equaled.
A quell’ora, dell’insegna si vedeva poco e niente. La notte arrivava sempre presto a Macklin Street, strisciava fuori dalle crepe delle case addossate le une alle altre, come vecchie streghe che cercassero di scaldarsi; saliva dai rari tombini collegati ai tunnel del vecchio sistema fognario ormai in disuso, che
riversavano nei canali di scolo ogni genere di lerciume. 
Ma dietro la tenda scura della macelleria una luce palpitava, come un lume acceso in fondo a un lago di sangue. Dietro il banco da lavoro, il signor Tristan Mercyful affilava i suoi coltelli fischiettando una canzone e sorridendo alla notte che scendeva.


2

La notte era appena cominciata, nel Casino dei Perduti, ma per alcuni non sarebbe finita mai.
L’interno era un unico, vasto ambiente circolare, strutturato in differenti livelli, in un bizzarro stravolgimento di prospettive e volumi. Terrazze apparentemente irraggiungibili si affacciavano su penisole sospese nel vuoto. Scalinate cieche terminavano contro i pesanti tendaggi cremisi che rivestivano le pareti, aprendosi solo a rivelare il riflesso delle tante finestre che, a un certo punto, sarebbero state oscurate.
Il centro della sala presentava un affossamento occupato da cuscini orientali e tappeti. Tutt’intorno correvano alcune serie di gradinate, che facevano pensare a un anfiteatro. Nell’arena sottostante, tuttavia, non lottavano nerboruti gladiatori, sebbene ciò che vi si consumava non fosse, a volte, meno cruento.
Uomini e donne si muovevano nell’ambiente, rischiarato da lampade di vetro cangiante e alabastro, da bracieri di bronzo che diffondevano ovunque dense nuvole d’incenso e oppio. 
Le donne, per lo più seminude e scalze, avevano pochi veli a mettere in risalto più che celare le loro forme; gioielli luminosi ai polsi, alle caviglie, al collo e tra i capelli. Molte di loro indossavano maschere dalle fogge bizzarre, impreziosite di gemme e cristalli. Alcune avevano la pelle tinta d’oro, come il paggio che li aveva accolti, o lapislazzulo, o il corpo striato di arabeschi dai colori accesi e decorato di piume di uccello, tanto da farle apparire come curiosi e splendidi animali mitologici.
Re Belial, anfitrione e anima del Casino, accolse Jericho come un figliol prodigo. Quando lo scorse, si alzò dallo scranno che gli era deputato. Occupava un punto dominante dal quale si poteva abbracciare, in un singolo colpo d’occhio, tutto l’ambiente. Scese la scalinata, seguito dallo strascico della veste da
camera scarlatta, che si snodava dietro ai suoi passi, simile a una scia di sangue.


3

Qualcuno dall’oscurità si fece avanti, per ghermirli, ma fu fermato da parole sibilline.
«È l’Ambasciatore dei Morti... » Quel semplice monito bastava ad arrestare la mano protesa come un artiglio, a far retrocedere il furfante, che rimaneva vigile, pronto a lanciarsi sulle prede. Il silenzio diffidente che accompagnava il loro cammino era reso ancora più sinistro dallo strascicare dei piedi di quei miserabili, che li seguivano, accodandosi a debita distanza dietro di loro. Corpi deperiti, scarni come gatti randagi, esangui, andavano componendo un corteo spettrale alle loro spalle, fetido, malato, un carosello di deformità e menomazioni a stento celate dagli stracci logori, e che la penombra fumosa rendeva ancora più minacciose.
Quando giunsero al termine del tunnel l’ambiente si allargò rivelando una sorta di corte. Avevano camminato in pendenza, e ora si trovavano sottoterra. Era impossibile risalire a cosa dovesse essere stato quel luogo in passato, se una vasta cantina o piuttosto un cortile sprofondato e abbandonato alla propria
rovina. Il corteo andò a disperdersi tra coloro che già occupavano il vasto androne.
Jericho lasciò vagare lo sguardo intorno. il terreno era irregolare, ingombro di rifiuti e materiale di recupero ammassato in attesa che qualcuno ne trovasse un utilizzo. 
Un ragazzo con lunghi capelli candidi come quelli di un vecchio suonava un violino, mentre una ragazza danzava sinuosa. Pochi stracci colorati coprivano la figura snella, concedendo generose porzioni di pelle olivastra alla vista dei presenti, e nella sua mano balenava una spada, che roteava al ritmo delle
sue evoluzioni, catturando i barbagli dei fuochi crepitanti. Era una visione di seduzione e selvaggia bellezza, nonostante metà del suo volto fosse deturpato da un’estesa ustione, che rendeva i suoi lineamenti una maschera raggrinzita.
L’unico occhio nero e ardente della danzatrice si fissò sui nuovi venuti e subito il suo movimento cessò, così come la musica, e lei raggiunse rapidamente una catasta di legno, su cui troneggiava un uomo. Sedeva solo, davanti a una scacchiera, apparentemente impegnato in una partita solitaria. L’oggetto,
integro e dall’aria pregiata, strideva con l’ambiente circostante quanto Jericho nel suo elegante cappotto.
L’uomo guardò il medium, e per un lungo istante il silenzio regnò perfetto e inviolato nella sala. Poi si portò una mano scarna e nodosa come un ramo rinsecchito al capo, si grattò la nuvola crespa dei capelli argentei e fece cenno di avvicinarsi, mentre le labbra si schiudevano.



E infine eccoci qui a parlare dell'opera di Daisy Franchetto.

Ultima copertina di oggi, cosa ne pensate?


1

« L’Ovoide delle Dimensioni è un sistema di mondi paralleli che coesistono in un equilibrio, mai del tutto stabile » disse disegnando a terra una forma ovoidale. « È diviso in tre settori. Abbiamo le Dimensioni Sotterranee, le Dimensioni Intermedie e le Dimensioni Superiori. Voi siete vissuti finora nella Dimensione Terrestre, che si trova qui » spiegò disegnando un cerchio al centro dell’Ovoide. « La vostra Dimensione è una specie di settore che circonda lo spazio in cui dovrebbe trovarsi il Regno Perduto di Egoo. » 
« Scusa, come hai detto ? » fece Jerome avvicinandosi. « Dovrebbe ? Non sapete nemmeno dove si trovi questa Dimensione che dovrei risvegliare ? » 
« Il Regno Perduto di Egoo è un mito, nessun vivente l’ha visto, ma c’è la profezia che parla della sua rinascita e… »
« E cosa ? State basando tutto su una profezia ? La mia vita è stata rovinata per via di una manciata di parole, di supposizioni ? » 
« C’è chi è disposto a ucciderti per queste parole » intervenne Luz.


2

Si erano immaginati una caduta più veloce, si erano aspettati di precipitare. Invece, a dispetto di ogni previsione, stavano salendo dolcemente, contornati da un canale di luci. Il mondo si era capovolto. Fuori da quel flusso, una miriade di altre luci, incanalate in un altro percorso, stavano compiendo un viaggio inverso. Erano immersi in un vortice di meraviglia, sospesi in una dimensione che non conosceva tensioni. Era l’assenza di tempo, ma loro non lo sapevano. 
Doug aveva steso le ali e rilassato il corpo, fluttuava accanto a Trip. Fu lui ad attirare l’attenzione dei compagni su ciò che si trovava sotto di loro : Fiso, in tutta la sua magnificenza. Un grandioso pesce delle dimensioni di un pianeta, ricoperto di scaglie verdi e blu. La maestosa creatura era contornata da un pulviscolo che rifletteva la luce dei lumini, un’aura inquietante che parlava della pericolosità del passato. Videro il punto in cui si erano trovati probabilmente all’arrivo. Quella che avevano creduto essere una foresta, si trovava proprio sopra gli occhi del pesce, gialli e rossi come soli. Riconobbero l’occhio che Fiso aveva fissato su di loro trasportato dalla sua lingua e ora tornato al suo posto. 
Quello stesso occhio li stava guardando e, in particolare, scrutava Trip. Le stava ricordando i termini di un accordo vincolante.


3

Vector annuì. « È bene però che tu comprenda dove ti trovi e perché. » Sollevò un braccio e l’immagine di una mappa emerse dal pavimento, raffigurava un ovoide che iniziò a ruotare su se stesso Jerome ne fu subito affascinato e si avvicinò. Vector assunse un’espressione compiaciuta, sapeva che quella visione avrebbe catalizzato l’attenzione del suo allievo. « Questo è l’Ovoide delle Dimensioni, è una rappresentazione di tutte le Dimensioni Consapevoli. » Jerome ricordò, anche Crono le aveva chiamate così. « Le Terre che vedi indicate sono abitate da individui a conoscenza dell’esistenza delle altre Dimensioni. » 
« Io non sapevo dell’esistenza di questi luoghi fino a pochi giorni fa. » 
Il Viaggiatore rise. « Certo, tu sei vissuto finora nella Dimensione Terrestre, l’eccezione. Pochissimi abitanti della tua Dimensione conoscono l’esistenza dell’Ovoide » spiegò indicando un settore al centro. 
Jerome pensò a Paul e Pedra, loro sapevano. La sua attenzione fu però subito catalizzata, c’era una scritta che diceva : “Regno Perduto di Egoo”. Leggere quel nome acuì il dolore alla testa, ancor prima che Vector gli ricordasse che quello era il luogo di cui parlava la profezia che lo riguardava, quello era il motivo di ogni sua sofferenza. Chi l’aveva messo al mondo l’aveva fatto sapendo che su di lui sarebbe gravata quella responsabilità. Il volto assunse un’espressione dura. Se avesse potuto, avrebbe lasciato la stanza, tutta la fascinazione era svanita. Quel che gli era sembrato un luogo magico, ora aveva le sembianze di un inferno.




Allora cosa ne pensate di quello che hanno scritto le nostre autrici? Acquisterete i loro libri? Fatecelo sapere qui sotto con un commento, oppure sulla nostra pagina Facebook.
Ora però devo proprio salutarvi. Ciao e alla prossima!

*Enrico*

Nessun commento:

Posta un commento