Luoghi da sogno & Ambienti romanzeschi
Sopravvivere ad un freddo Maggio
Ciao a tutti e bentornati su Codex Ludus! Questo mese è piuttosto freddo per essere maggio, quindi quale occasione migliore di questa per scaldarci con Luoghi da sogno & Ambienti romanzeschi? Il momento è giusto per intervistare Daniela Ruggero, Melissa Pratelli e Giuseppe Milisenda. Poi in questo inverno che è tornato (tutto merito di Game Of Thrones) possiamo leggere gli estratti dai loro romanzi, bevendo una bevanda calda, vi va un te?
Ma innanzi tutto, l'intervista!
Dove è ambientato il tuo romanzo? Perché lo hai scelto?
D.R.: Mia, come molti dei miei romanzi è ambientato a Torino, la mia città. La scelta è dettata dall’amore che provo per la mia mistica torino.
M.P.: Il romanzo è ambientato in California, nello specifico a San Diego.
G.M.: Il romanzo è ambientato in un piccolo paese che ospita un centro di ricerche scientifiche e una struttura di salute mentale. Sullo sfondo però emergeranno i microscopici mondi popolati dagli “Xsmalls”. Le diverse ambientazioni simboleggiano metaforicamente le varie associazioni che sono impegnate a rendere migliore la società in cui viviamo. Nel romanzo solo quando gli abitanti di realtà apparentemente diverse tra loro inizieranno a fare “rete” il conflitto tra Bene e Male lascerà intravedere uno spiraglio di luce. L’ambientazione del romanzo è quindi strumentale al messaggio che custodisce tra le sue pagine.
Da cosa è ispirata l’ambientazione?
D.R.: Dal desiderio di far conoscere i luoghi più delli di Torino
M.P.: Ormai si sa, a me piace ambientare le mie storie all’estero, un po’ per il diverso stile di vita, un po’ perché sono cresciuta a pane e telefilm americani. Principalmente, però, le città che scelgo per le mie storie sono legate a delle particolari caratteristiche di cui ho bisogno per la trama, in questo caso specifico, ha a che fare con il lavoro che svolge il protagonista maschile…
G.M.: L’ambientazione, seppur frutto di fantasia, è ispirata dalla società reale. La cronaca ci consegna quotidianamente storie di un pianeta dilaniato dalla violenza, dall’indifferenza, dall’odio… La realtà odierna è lo scenario su cui ho dipinto la trama del romanzo.
I microscopici mondi popolati dagli Xsmalls hanno lo scopo di indurre i lettori ad avere rispetto per tutto ciò che ci circonda.
Hai mai pensato di scriverlo in un altro tempo o luogo arrivando a cambiare genere al tuo romanzo? (es. ambientazione fantastica, fantascientifica, immaginaria, in un mondo distopico, in quello attuale, ecc)
D.R.: No
M.P.: No, direi di no in questo particolare caso. Forse, con qualche modifica, avrei potuto ambientarlo altrove, o in Italia o in qualche altro stato, ma senza cambiare genere.
G.M.: Credo che ogni scelta, anche quella del genere, si incastri perfettamente nel puzzle del libro che avevo nella mia mente. Quando ero piccolo mio nonno mi raccontava le favole di Esopo. Ho voluto ripercorrere i suoi insegnamenti e scrivere un libro di formazione che si adattasse alle esigenze delle nuove generazioni. Volevo catturare l’attenzione dei ragazzi e lasciare loro in dono un messaggio su cui riflettere.
Riesci ad immaginare la tua storia nel passato?
D.R.: Potrebbe essere ambientata nel passato considerando l’intreccio.
M.P.: Ci sono alcune cose della trama che avrebbero di sicuro un altro risvolto se la storia fosse ambientata nel passato e non sono sicura che sarebbe un risvolto positivo!
G.M.: Mi piacerebbe un giorno approfondire la storia di Sumuabun e degli altri Anunnaki protagonisti del romanzo, ripercorrendo la tracce lasciate dalla loro razza sul pianeta. Sono probabilmente le creature più misteriose e affascinanti del libro. Gli antichi popoli della Mesopotamia potrebbero essere le comparse migliori per narrare una storia “alternativa” dell’evoluzione della razza umana sulla Terra.
Riesci ad immaginare la tua storia nel futuro?
D.R.: In un futuro distopico, forse.
M.P.: Sì, perché no.
G.M.: Il romanzo si conclude lasciando uno spiraglio a un seguito. Prima o poi i piccoli “Xsmalls” torneranno a combattere per salvare il mondo. Un futuro non troppo lontano potrebbe essere lo scenario ideale.
Tre posti in cui vorresti ambientare i tuoi prossimi libri?
D.R.: Ogni romanzo mi sussurra l’ambientazione nella stesura, non so rispondere a priori.
M.P.: Los Angeles, le Canarie e forse qualcosa in Italia, ma non so ancora in quale città.
G.M.: In realtà il prossimo libro è quasi pronto e un suo estratto ha già vinto il premio di letteratura “Salvatore Nuvoletta”. La sua narrazione si sviluppa tra le mura di una scuola in cui imperversa un gruppo di bulli, tra le strade di un quartiere malfamato, e in terzo luogo fantasy. Anche la guerra in Congo avrà un ruolo fondamentale nell’evolversi della storia.
In futuro mi piacerebbe scrivere un romanzo ambientato in un passato mitologico, tra antiche divinità.
Dopo l'intervista ai nostri tre autori, cominciamo con la lettura, ora leggeremo tre estratti dal libro di Daniela Ruggero.
1
Sotto le luci della Mole Antonelliana entriamo in uno dei ristoranti più romantici di Torino.
Il cameriere ci fa accomodare.
«Le abbiamo riservato il tavolo richiesto Signor Tunner. Spero sia di suo gradimento.»
Dave annuisce.
Il cameriere ci porge il menù e se ne va.
Sono imbarazzata, forse mi sarei sentita più a mio agio in una pizzeria qualunque.
2
Dave apre la porta finestra.
«Vieni, ti mostro il terrazzo.»
Lo raggiungo. Quando scorgo il panorama rimango ferma a osservare il cielo terso che incornicia le montagne dalle punte aguzze e la morbida collina che vi si adagia dolcemente.
«Mi piace fare colazione qui quando fa caldo, quindi ho fatto preparare qualcosa per noi. Angela è una cuoca fantastica e non vedeva l'ora di conoscerti.»
«Le hai parlato di me?» Chiedo.
«Certo, sei la mia ragazza.» Risponde lui con una naturalezza che mi colpisce.
Sono la sua ragazza.
Sono sua.
3
Il giorno seguente vengo trasferita al centro di riabilitazione sito in collina; non so che cosa aspettarmi, e ammetto che, vedendo il grande spazio che anticipa l'edificio bianco, mi sorprende. Maggio è ormai quasi al termine e gli alberi mostrano la loro bellezza addolcendo il panorama. Il barelliere mi accompagna alla reception, mi accolgono due infermiere che indossano una divisa candida perfettamente stirata. Quella a destra, la più alta dai lunghi capelli rossi raccolti in una coda di cavallo, mi raggiunge.
Ora invece passiamo a Melissa Pratelli, un cambio di copertina, prima una ragazza e ora invece un ragazzo... anche oggi giudico i libri dalla copertina!? Ovviamente no, sto scherzando, buona lettura!
1
«Benvenuta nella mia umile dimora.» Connor aprì la porta e mi fece passare per prima, seguendomi poi dentro il suo appartamento.
Mi guardai intorno impacciata, cercando qualcosa di carino da dire.
«Non sforzarti di fare commenti positivi, questo posto è terribile» mi precedette lui, guidandomi verso una porta che si apriva alla nostra sinistra.
Mi morsi la lingua e lo seguii.
L’appartamento in sé non era male. Era piccolo, certo, ma non era sporco e non mostrava tracce di incuria, solo che era davvero angusto. Sembrava quasi una prigione, il che mi fece dubitare che lo stabile non fosse stato, in origine, parte della stessa centrale di polizia che si trovava lì accanto.
L’ingresso era un metro quadro rinchiuso da quattro pareti, su cui si aprivano altrettante porte, dando l’impressione di trovarsi all’interno di un ascensore molto piccolo.
2
Guardandomi intorno, mi resi conto che Duncan aveva talmente vissuto quella stanza, da non lasciare alcuna traccia di suo fratello. Nulla era come lo ricordavo, aveva cambiato persino la disposizione dei mobili.
L’occhio mi cadde sulla libreria in cui Aidan teneva la bacchetta di Sambuco. Naturalmente era sparita, per lasciare spazio ad altri oggetti, tra cui riviste, un pallone da football e alcune foto.
3
Sulla spiaggia c’erano tre tavoli coperti da tovaglie colorate e posizionati sotto un gazebo. Su due di essi era sistemato il cibo – panini, hamburger, patatine, stuzzichini vari, dolci, frutta –, sul terzo c’erano le bibite, alcolici inclusi.
Tutto attorno erano stati disposti dei tavolini bianchi, sedie colorate, panchette e cuscini. Da un impianto stereo posto sotto un altro piccolo gazebo, veniva la musica. Era Rob a occuparsene e aveva appena messo I was born to love you dei Queen. Quando si accorse che lo stavo fissando estasiata, mi fece l’occhiolino.
Ed infine eccoci qui con la copertina del romanzo di Giuseppe Milisenda, siamo passati da delle foto ad un artwork, cosa ne dite?
1
Un uomo dall’aspetto autoritario e risoluto salutò con tono austero l’ingresso del direttore del centro, nella sala gotica di un antico palazzo medioevale. La fioca luce di centinaia di candele, allineate lungo le pareti, restituiva vigore ad antichi arazzi raffiguranti scene di caccia tra creature mitologiche.
Il dottor Daniel avanzava tra di esse timoroso, come fosse la preda designata a essere dilaniata tra le fauci nell’inevitabile banchetto. Nonostante le ampie volte di quella sala, l’aria sembrava stantia e i suoi polmoni faticavano a cercare l’ossigeno a ogni suo passo. Gli sguardi dei presenti osservavano il suo lento incedere.
2
La nascita del centro in quel paese di montagna era stata controversa.
La gente del luogo guardava con diffidenza agli esperimenti che avevano luogo tra le mura dei laboratori. Molti sostenevano che venissero utilizzate sostanze chimiche pericolose.
I commercianti non avevano trovato giovamento dalla presenza di quegli stranieri venuti da ogni parte del mondo. Gli scienziati, infatti, avevano all’interno del centro tutto di ciò di cui avevano bisogno. Raramente uscivano fuori per acquistare qualcosa o consumare una cena in uno dei modesti ristoranti del luogo. Il centro non aveva dato neanche prestigio e notorietà a quel paese il cui nome continuava a rimanere legato a un manicomio, poi ribattezzato «centro di salute mentale», sorto nei primi decenni del secolo precedente. Nella regione quel piccolo comune era ormai noto come il «paese dei pazzi» e pochi erano a conoscenza del fatto che dentro i suoi confini sorgesse invece uno dei centri di ricerca più avanzati a livello mondiale. Solo gli esperti e appassionati del settore parlavano della sua esistenza con interesse, mentre alla gente comune era quasi sconosciuta la sua esistenza.
La cittadella del centro sorgeva a ridosso del paese, ma era circondata da alte mura che separavano le due realtà anche fisicamente. I cancelli rimanevano sempre aperti e inizialmente gli indigeni si erano spesso introdotti nell’area spinti dalla curiosità. Era stato però loro consentito solo di percorrere i sentieri alberati, mentre l’accesso all’interno dei laboratori, per ovvi motivi di sicurezza, era stato precluso. Saltuariamente le scolaresche del paese e dei centri di tutta la regione, venivano ospitate per briefing e convegni, riaccendendo per qualche giorno la passione per la ricerca. Poi la routine del quotidiano spegneva inevitabilmente la fiamma, riportando anche i più piccoli a una realtà che concedeva poco spazio alla fantasia.
Il mondo al di fuori delle mura del centro era difficile.
3
Da troppi giorni la pioggia rigava le finestre. I vecchi del villaggio non avevano mai assistito a nulla del genere. L’acqua cadeva dal cielo da oltre dieci giorni. Strani e sinistri rumori provenivano dalle pendici delle montagne. I contadini assistevano inermi, piangendo i propri raccolti. La radio intimava agli abitanti di allontanarsi, ma la gente che viveva lì da generazioni era troppo povera e legata a quei luoghi per cercare ospitalità altrove. Peraltro anche gli spostamenti erano resi difficoltosi dalle intemperie e non privi di rischi. La gente era rinchiusa in casa e le strade erano avvolte nel silenzio, nonostante lo scroscio incessante della pioggia. L’acqua aveva impregnato il terreno della valle rendendolo un’enorme e uniforme poltiglia di fango.
Rieccoci qui, come è stata la lettura? Vi ha intrattenuto come volevate? Fatecelo sapere con un commento, ma soprattutto fatelo sapere anche ai nostri autori!
Ora vi devo proprio salutare, ciao e alla prossima!
*Enrico*
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